M.V.M.

Creato il
13/6/98.


Ancora sul calcio:

1) Intervista su La Repubblica

2) Intervista su Avvenire

3)
Articolo su Ronaldo

4) Articolo su Francia '98


MARADONA

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

Max, aprile 1997.


La Quinta Moreno si trova nei dintorni di Buenos Aires. È un posto piuttosto ritirato, ma non abbastanza perché i giornalisti non vi si precipitassero ad aggredire il riposo del guerriero argentino più famoso: Diego Armando Maradona. Il guerriero riposava nel fondo di una di quelle depressioni che segnano le sue crisi di coabitazione con le diverse squadre calcistiche in cui ha giocato: Argentinos Juniors, Barcellona, Napoli, Siviglia... Newell's Old Boys di Rosario è l'ultima. Fotografi e giornalisti sperano di cogliere quella faccia patetica da bambino spaventato che viene a Maradona a ogni depressione. Ma questa volta Maradona non è in vena di metafore né di fotografie. Solleva un fucile all'altezza del viso e cerca ripetutamente di impallinare i giornalisti; l'inviato del quotidiano La Nación viene colto in pieno, altri tre di sfuggita e diverse macchine si prendono una scarica sul parabrezza. In seguito Maradona avrebbe sostenuto che l'assedio dei giornalisti impedisce alle sue figlie di giocare nel parco di Quinta Moreno: «Capisco il vostro lavoro, e spero che anche voi vogliate capirmi, anche quando vi scaravento addosso una catinella d'acqua». Ancora una volta Maradona dovette passare dal giudice istruttore, il che non lo trattenne dal combinarne un'altra delle sue pochi giorni dopo quando, in compagnia di sei amici, aggredì un giornalista di Clarín e danneggiò un bar. Maradona ha una certa consapevolezza di impunità, quasi tutto gli fosse consentito, forse da quel momento in cui segnò un gol con la mano nei Mondiali del Messico del 1986. Senza la benché minima cattiva coscienza dichiarò: «La mia mano è stata la mano di Dio».

Se si conosce Buenos Aires, quella «Capitale di un impero che non è mai esistito...» (André Malraux), e soprattutto quel sud di Buenos Aires, rigorosamente povero, tra il Riachuelo e Palermo, con la Boca come centro popolare, e Barracas —un quartiere sottoproletario cresciuto sul lato opposto del Riachuelo— si capirà meglio il paesaggio urbano e umano in cui era cresciuto il mito Diego Armando Maradona, nato a Lanus il 30 ottobre 1960, quinto figlio di Dalma e Diego Maradona. Il padre disse appena lo vide: «Questo è un maschio, puro muscolo». In quei quartieri di Buenos Aires si vedono migliaia di ragazzini come Maradona, i "cebollitas" (cipollette), piccolini, tarchiati, forti, muscolosi, con una fitta capigliatura nera e un look da quarto mondo inserito nel primo, radicalmente opposto a quello dei ragazzi del nord della città.
Negli sterrati della «Buenos Aires amata...» (come canta il testo di un tango), Maradona detto "EI Pelusa" dimostrò fin da bambino di essere superdotato per il calcio, tant'è che in seguito la critica lo avrebbe definito come il giocatore più veloce di tutti i tempi nel momento di concepire il gol. Quando giocava nella squadra giovanile si era già guadagnato la fama di essere un fenomeno e i tifosi argentini se la presero con Menotti perché non lo aveva selezionato per i Mondiali del '78. A quei tempi Maradona, diciottenne, era il beniamino del pubblico e del suo clan (genitori, fratelli, la fidanzata Claudia) e presto avrebbe potuto avvalersi di un manager che gli somigliava a livello sociale e fisico, Jorge Czisterpiler, che provò per la prima volta come il giovane dio avesse bisogno di tenersi accanto un uomo forte che gli impedisse di sentirsi di tanto in tanto "Dieguito", quel bambino indifeso, smarrito nella foresta gremita di giornalisti, uomini politici, dirigenti calcistici.
È ancora un calciatore dell'Argentinos Juniors che già sente il bisogno di uno spazio maggiore per le sue prodezze e viene ingaggiato dal Barcellona, la cui società è presieduta da un condottiero dell'edilizia, Josep Lluis Núñez che vuole comprare, a qualsiasi prezzo, i migliori calciatori sul mercato per costruire una grande squadra. Parzialmente ci riesce. Maradona subisce una grave lesione per via di un calcio malintenzionato di Goikoetxea, terzino del Bilbao, e di un'infezione virale. La sua resa è brillante ma discontinua. Riesce ad avere Menotti come allenatore e a soddisfare tutti i suoi capricci, per esempio di allenarsi al pomeriggio e non di mattina. Il vero motivo è che fa le ore piccole e non riesce ad alzarsi presto, ma Menotti (un filosofo che parla di calcio come ne avrebbe parlato Immanuel Kant) trova una spiegazione sillogistica da sfoderare davanti alla giunta del Barcellona: «Le partite si giocano la mattina o il pomeriggio? Il pomeriggio. Allora ci si allena il pomeriggio».
Maradona vuole andarsene dalla Spagna, o forse semplicemente fuggire, perché insieme alla sua prima crisi sportiva viene colpito dalla crisi economica. A Barcellona, come in una prova generale, conosce il calvario —controllato e incontrollato al contempo— delle proprie relazioni sadomasochiste con le società calcistiche e con se stesso. Si sente a disagio, fa l'impossibile per sentirsi ancor più a disagio, per provocare una situazione senza via di uscita e finalmente fuggire. Il clan familiare protegge l'idolo da se stesso, dalla vertigine sull'orlo dell' abisso, ma questa volta dopo l'angoscia depressiva compare quella economica. Buona parte della sua crisi barcellonese, della sua depressione, del suo tira e molla per andarsene a Napoli, fu dovuta al fatto che per mantenere il tenore di vita del suo clan aveva dovuto affrontare perdite economiche insostenibili. Il fallimento di Czisterpiler come intermediario d'affari portò Maradona alla rovina; fino al punto che l'allenatore Menotti gli dovette in qualche occasione prestare dei soldi. L'ingaggio con Napoli era soprattutto una fuga economica in avanti.
Venendo in Italia, Maradona ebbe un nuovo agente, Guillermo Esteban Coppola, un altro self-made-man in stile argentino, di origini quasi tanto modeste quanto quelle dello stesso Maradona, in buoni rapporti con il potere ai tempi della Giunta Militare, poi con il governo democratico di Alfonsín e diventato infine esplicitamente menemista sotto Menem. Coppola, in quanto successore di Czisterpiler, liquidò l'intera organizzazione economica del precedente uomo di fiducia. Creò quindi l'impresa Diarma (parola composta dalle prime sillabe di Diego, Armando e Maradona) a Vaduz e seppe cogliere il momento delle alte quotazioni raggiunte da Maradona in seguito ai Mondiali messicani del 1986 per aumentare gli introiti attraverso l'uso dell'immagine del calciatore e l'espansione di affari creati lì per lì di sana pianta. Godeva della totale fiducia di Maradona: «Con Diego, la sola cosa che non abbiamo fatto è andare insieme a letto...» confessa a chiunque abbia voglia di ascoltarlo, durante le sue perorazioni al boliche-bar "El Cielo", sulla Costanera Norte di Buenos Aires. Coppola lo protesse negli anni trionfali a Napoli, che coincisero con la conquista degli scudetti nelle stagioni '86/87 e '89/90 e uscì da questa sfida con le tasche belle gonfie: la miniera Maradona gli aveva procurato 880.000 dollari in quattro anni. A Coppola piace raccontare che sei mesi dopo il suo ritiro inizia il tramonto italiano del calciatore. Il 17 marzo 1991, dopo la partita Napoli-Bari, l'analisi compiuta dal controllo antidoping su Maradona dà esito positivo: ha preso cocaina. Quaranta giorni dopo Diego venne arrestato in un appartamento di via Franklin e incriminato per consumo di droga. Si disse che Coppola fosse responsabile di avere cacciato Maradona nel sottosuolo della camorra e della malavita napoletane, ma lui indicava altri induttori della camorra, ormai nemica di Maradona, con l'accusa di aver contribuito all'esclusione dell'Italia dai Mondiali del 1990. Coppola dichiarò a un giornalista di Buenos Aires che quando incontrò Maradona nel 1985 il calciatore era al verde e che «oggi provo una grande soddisfazione sentendolo dire che le sue figlie mangeranno caviale finché campano».

Maradona e San Gennaro erano i due santi di Napoli. Come fu che il calciatore argentino poté, dopo essere stato adorato come un santo, venire perseguitato come un delinquente legato al narcotraffico e alla prostituzione organizzata? La stampa del mondo intero offrì quel volto di Maradona, con la barba lunga, angosciato, gli occhi infossati a lanciare messaggi in richiesta di aiuto, subito dopo l'arresto a Napoli che lo trasformò in un Dieguito abbandonato da ogni genere di dèi. Il più temibile accusatore di Maradona è un personaggio sospetto, Pietro Pugliese, membro del clan napoletano del calciatore, al punto di essere stato uno degli invitati al fastoso matrimonio con Claudia a Buenos Aires. A partire dall' arresto del '91, Pugliese accusa Maradona non solo di fare uso di droga, ma anche di narcotraffico e di utilizzare alcuni membri del suo clan napoletano per lo spaccio. Accusa Maradona di collegamenti con il clan Giuliano e di avere stretto un patto con la camorra inteso a non far vincere al Napoli lo scudetto 1987/1988. Non solo, ma arriva ad accusare Maradona di avere festeggiato la sconfitta del Napoli in un night di Berna di proprietà di un camorrista. Pugliese era un "pentito", ex membro della camorra implicato in cinque assassinii, che aveva patteggiato un trattamento di favore in cambio della delazione di certi segreti del sottosuolo della vita napoletana: ed è lì che Maradona venne trovato. I rapporti con la società calcistica si deteriorarono e il calciatore si servì di nuovo della fuga in avanti. Tornò, sempre come dice il tango, alla sua «Buenos Aires amata», dove l'aspettava un suo buon amico, il presidente Menem, costretto in prima istanza ad aprire le braccia a quel dio caduto che continuava a poter contare sull'affetto delle masse. A partire da quella fuga, il presidente del Napoli, Corrado Ferlaino, divenne il suo implacabile persecutore, un persecutore che cercò di cancellare per sempre il Maradona calciatore dagli stadi di tutto il mondo. Quel Corrado Ferlaino che risultò in seguito implicato, e assai gravemente, nella "catarsi" politica ed economica italiana promossa dai giudici di Mani Pulite.

Maradona lamentò di non essere stato incluso nella selezione per i Mondiali del '78, vinti dall'Argentina a Buenos Aires sotto una truce giunta militare che fece di quella vittoria un'operazione di lavaggio dell'immagine e di cancellazione della memoria in faccia a un mondo che non voleva gli si ricordasse lo sterminio degli oppositori politici compiuto dai militari. La sconfitta nella guerra delle Falkland contro gli inglesi significò la caduta del potere militare, la denuncia dei massacri e delle torture, il ritorno della democrazia e una visita personale di Maradona al presidente Alfonsín, del partito radicale, per ringraziarlo dell'instaurazione della democrazia.
Ma particolarmente grato fu proprio il presidente Alfonsín: quella visita rappresentava il determinante appoggio del dio Maradona. Dopo Alfonsín, salì al potere il postperonista Menem, e Maradona si sentì più a suo agio con lui, poiché —in quanto proveniente dagli strati popolari argentini— Maradona era peronista. Menem ha la forma e il contenuto dell'ecletticismo deologico e gestuale del peronismo: ha a sua disposizione un parrucchiere privato e una Porsche, ma gli piace mescolarsi con il popolino, giocare a calcio con la maglia di Maradona e mangiare una pizza davanti alle telecamere mentre guarda il suo Diego che gioca ai Mondiali italiani del 1990.
Il "Dieguito" accusato di fare uso di droghe, di narcotraffico e di essere cliente della prostituzione organizzata aspetta e ottiene l'abbraccio dell'amico presidente. Ma quello che Maradona non si aspetta era che la polizia argentina lo pedinasse e lo facesse finire ancora una volta in galera, questa volta nella sua "Buenos Aires amata" con la stessa durezza e mancanza di rispetto nei riguardi degli dèi, anche verso quelli minori, già subita a Napoli. Un'altra volta il viso di Dieguito smarrito in una foresta gremita di giornalisti, giudici, politici cannibali, un'altra depressione, un'altra reazione protettiva da parte della gente e di odio di Maradona verso il falso amico Menem. Il calciatore confessa la propria ammirazione per Che Guevara, per Fidel Castro, il disprezzo per le grandi potenze capitaliste che hanno abbandonato l'Argentina durante la guerra delle Falkland e quando il governo degli Stati Uniti gli rifiuta il visto, si reca all'Avana per consegnare a Fidel Castro una delle sue maglie. Lontano dal potere e dalla Gloria, Maradona era definitivamente caduto?

Bilardo, uno dei migliori allenatori argentini, ingaggiato dalla squadra spagnola del Siviglia F.C., prepara l'operazione di recupero di Maradona al calcio nonostante il veto imposto dal presidente del Napoli alla Fifa. La Federazione Argentina e gli avvocati del calciatore negoziano con il Siviglia perché Maradona venga ingaggiato e ottenga dal Napoli il permesso per rientrare nel calcio attivo. L'operazione costa denaro, pressione politica, e insistenza con il presidente napoletano Ferlaino, in brutte acque politiche ed economiche, ma la Fifa vuole che Maradona venga recuperato per i Mondiali del 1994. Il calciatore viene contrattato dal Siviglia, più che giocare passeggia per gli stadi della Spagna, riacquista una minima forma fisica e un fragile equilibrio psicologico che non gli impedisce di essere arrestato per avere guidato alticcio ed aver saltato qualche semaforo. Come non gli impedisce di litigare con altri calciatori e meritarsi sanzioni della federazione. Si trova di nuovo davanti alla necessità di una fuga in avanti. Si libera dell'impegno con il Siviglia e torna in Argentina per giocare in una squadra secondaria della città di Rosario, la Newell's Old Boys. Nel novembre 1993 presenziai alla sua ricomparsa a Buenos Aires, in una partita contro l'Independiente, e potei vedere un Maradona decaduto, ancora con tracce del grande calciatore e tenuto nell'ovatta dall'arbitro, dai calciatori della squadra antagonista e dal pubblico. Continuava a essere un dio, un dio minore tra quelli che si rendono necessari per supplire alla morte, alla fuga o al silenzio delle divinità vere.
Non apportò nulla alla sua nuova squadra. Colui che era stato uno degli dèi dell'Olimpo a quale altra carica poteva aspirare? Tratto a salvo dal pozzo italiano, il solo obiettivo rimastogli era di porre fine alla sua drammatica carriera in una circostanza calcistica al di sopra del comune: la selezione nazionale argentina... La Patria, Dio e la Patria. Maradona aveva bisogno, ha bisogno di quell' "happy end", ma ha bisogno la selezione di Maradona? Le difficoltà vissute dall'Argentina nella classifica per il girone finale della World Cup degli Usa spiegano l'ansia popolare di recuperare l'unico giocatore talismano argentino. Al di là del suo stato fisico, dei suoi riflessi da trentenne troppo appesantito, Maradona è un mito che impressiona i calciatori avversari e stabilisce un rapporto magico con i desideri degli spettatori. Anche se Basile, il selezionatore, non ha troppa fiducia in un possibile contributo di Maradona, sa di non doversi opporre alle pressioni del pubblico. Dalla sua uscita dai Newell's Old Boys a febbraio, il calciatore alterna una preparazione fisica accelerata a esplosioni di collera contro la stampa che denotano la sua insicurezza. Medici, allenatori fisici, lo stesso Basile, tutti pensano che Maradona si deve preparare quanto basta per poter giocare ai Mondiali come ultima sfida della sua vita e ritirarsi il giorno seguente nell'Olimpo dopo aver compiuto la parte concessa da Dio ad altri due eletti del popolo argentino: il dittatore Perón e il pilota automobilistico Juan Manuel Fangio.
Non vi è giorno senza notizie di Maradona nei mezzi di comunicazione argentini, sia per seguire il suo recupero sia per consigliare quel che deve o non deve fare, e talvolta si pubblicano speculazioni di indole metafisica: «Maradona alla ricerca di Maradona», sostiene il critico di EI Gráfico. Si mette di nuovo nelle mani di Signorini o di Juan Marcos Franchi, allenatori e consulenti che non l'avevano mai tradito, e pensa di convocare una squadra di consiglieri perché a mo' di specchio magico gli rispondano alla domanda: «Sono in condizioni per partecipare ai Mondiali?» Spera di sì. E non solo lui. L'intero affare calcistico mondiale spera che Maradona agisca nella World Cup degli Usa come induttore per la creazione di una Lega di Calcio negli Stati Uniti, stabile e ricca. Finalmente, il calcio-dollaro in grado di arricchire sia i suoi promotori sia i forzieri della Fifa.

Fra gli anni Trenta e i Settanta, il calcio ebbe negli Stati Uniti una vita mediocre, dovuta in parte ai suoi scarsi successi internazionali, in flagranza di peccato per un popolo di vincitori. Alla fine dei Settanta, diverse squadre nordamericane cominciarono a ingaggiare figure del calcio europeo e latinoamericano in fase di decadenza per utilizzarne i nomi come richiamo per il grande pubblico. Il successo fu esiguo tenuto conto dell'investimento, e agli statunitensi quel gioco all'europea o alla latinoamericana sembrava uno sport lento e insipido. Ormai i Mondiali rappresentano la terza fase e la terza opportunità. Le multinazionali vogliono partecipare alla scommessa e la World Cup Usa 92 Inc., ente organizzativo sotto la direzione della Fifa, ha ottenuto dieci potenti sponsor: Canon, Coca-Cola, Fujifilm, General Motors, Gillette, JVC, Mastercard, MacDonalds, Philips e Snickers. Ciascuna di queste società vi investe 20 milioni di dollari e altre associate (tra cui Adidas, Sheraton e ITT) 7 milioni. Ma le inchieste dimostrano che quasi un 90% della popolazione degli Usa ignora che i campionati del '94 si svolgeranno nel suo Paese, nonostante che la loro promozione abbia potuto contare sulla presenza fisica di Clinton o di stelle del cinema e della canzone: Faye Dunaway, Rod Stewart o Stevie Wonder. Bisogna riempire stadi come il Rose Bowl di Los Angeles, capace di contenere 100.000 spettatori, o rendere lucrativa la trasmissione televisiva attaverso l'ABC. Gli idoli del calcio dell'America Latina sono sconosciuti negli USA, e soltanto uno di essi ha valore come principale punto di riferimento di uno sport tanto esotico: Maradona. Il che spiega perché sia la stessa Fifa sia le multinazionali abbiano il massimo interesse a farlo giocare —o passeggiare— nella World Cup anche a rischio che, dopo aver segnato qualche gol, Maradona lo dedichi a Fidel Castro.

(Traduzione di Hado Lyria)


Ancora sul calcio:

1) Intervista su La Repubblica

2) Intervista su Avvenire

3)
Articolo su Ronaldo

4) Articolo su Francia '98