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Il dio mortale del palloneANTONIO GNOLILa Repubblica, 9 / 6 / 1998.
E' nell'ambivalenza, tra pensiero e atletismo, che oggi si insinua l'omaggio della scrittura, il desiderio che alcuni grandi scrittori hanno avuto di rappresentarla. I racconti di Brera, quelli di Galeano e Soriano, e da ultimo la bella analisi che del calcio ci offre Manuel Vázquez Montalbán - con il suo libro che uscirà in settimana Calcio, una religione alla ricerca del suo Dio (Frassinelli) - sono il segno del modo in cui uno sport trascende se stesso, i propri valori, per infilarsi direttamente nel mito riraccontato. "Il calcio", mi dice Montalbán, raggiunto a Barcellona per telefono, "è uno di quei pochi sport in cui misteriosamente le sensazioni di un individuo si fondono con quelle di una collettività, un paese, o almeno una parte di esso. Da noi il football era già importante in epoca franchista, per certi versi è stato anche opposizione al franchismo e dopo la caduta del regime si è conservato intatto, come una grande religione popolare". Perché parla di opposizione al franchismo? "Mi riferivo al Barcellona. Tifare per il Barça, identificarsi con esso, ha significato anche interpretare un impegno politico. Barcellona ha sempre mantenuto un forte carattere nazionalistico e questo le ha creato intorno una certa aura contestataria. Del resto, uno dei presidenti del Barcellona fu fatto fucilare da Franco. Dopo la guerra civile sia questa squadra che quella del Bilbao hanno rappresentato, per lungo tempo, un modo di fare propaganda politica". Seguendo questa sua chiave politica, le chiedo se esiste un calcio di destra e di sinistra. Lei ne fa cenno nel suo libro, ma non si capisce se approva questa distinzione. "E' una classificazione curiosa, forse una metafora poetica più che politica. Ad ogni modo io ne ho discusso a lungo con Valdano che è stato un gran giocatore e in seguito allenatore del Real Madrid. Ma il vero ispiratore di questa teoria è stato Menotti che distingueva tra un calcio creativo, d'avanguardia e dunque mentalmente collocabile a sinistra e un calcio conservatore, legato prevalentemente allo sforzo fisico, situabile a destra. Per come la vedono sia Menotti che Valdano la distinzione passa tra un calcio meschino, repressivo, opportunista, che punta sull'efficacia e fa a meno dei sogni e della memoria e un calcio inventivo, leggero, romantico. Mi fermerei a questa classificazione anche perché io ricordo che un giocatore come il tedesco Brieger era un uomo di sinistra, ma come calciatore fu tostissimo". Lei che cosa pensa del fatto che le squadre italiane sono sempre più imbottite di stranieri, di "mercenari", come qualcuno li chiama? "Non solo l'Italia, anche la Spagna ha preso la rincorsa per rastrellare giocatori sul mercato internazionale. Fa parte del business, o della globalizzazione, verrebbe da dire rassegnati. Si investono miliardi, ma non ci sono certezze sul piano del rendimento e della spettacolarità. Quest'anno, ad esempio, abbiamo assistito a uno dei peggiori campionati spagnoli. E questo nonostante gli assi, o presunti tali, comprati in quantità industriale. Ma questo è il calcio-affare. Se Nietzsche disse che ci sono paesi nati per fare la Storia e altri per subirla, nell'attuale calcio globalizzato si può sostenere che ci sono paesi nati per esportare giocatori e altri nati per comprarli". E' la logica finanziaria. L'emissario della grande squadra va, rastrella e torna. Ha solo l' imbarazzo della scelta. Come mai, secondo lei, si è arrivati a tanto? "Con la sentenza Bosman abbiamo assistito alla caduta definitiva del protezionismo sul mercato calcistico. Ma a questo risultato siamo giunti dopo che i club si sono rimodellati secondo i canoni dei potenti centri finanziari e mediatici. Un esempio clamoroso da voi è stato il Milan di Berlusconi. Tra l'altro, sono convinto che senza i successi della squadra che fu di Gullit, Van Basten, Baresi e Rijkaard, Berlusconi difficilmente sarebbe arrivato al governo". E' un'affermazione arrischiata... "Perché? Come altri, Berlusconi è uno che si è arricchito velocemente. Il suo problema è stato quello di trovare una piattaforma sociale che ne simbolizzasse il successo. Che cosa c'era di meglio di una presidenza calcistica? Se hai una grande disponibilità di denaro, tempo libero a disposizione e per giunta l'appoggio incondizionato delle tue televisioni, puoi aspirare a mobilitare le masse. Da questo punto di vista, il calcio è un vettore straordinario di fascinazione, più della religione. Anzi il calcio è la religione". In che senso? "In un'epoca in cui è evidente la crisi delle ideologie, in cui è chiaro il ridimensionamento della militanza politica, e dove perfino gli atteggiamenti religiosi soffrono di mancanza di prospettive, il calcio è la sola grande religione praticabile. C' è in questo sport un aspetto finanziario, mediatico, pubblicitario, ma non sottovaluterei il suo lato liturgico. Se penso alla Fifa me la immagino come la chiesa del calcio". Ogni chiesa ha bisogno del suo dio e dei suoi predicatori. "I predicatori albergano oramai nelle televisioni. Quanto al dio, beh è una cosa un po' più complicata. Il calcio è una religione monoteista, crede in un solo dio per volta. Non tollera il conflitto, non ammette lo scisma, vuole una sola incarnazione. Dato il proprio tempo, la figura carismatica non può che essere una". Insomma un dio che in ogni epoca si incarna in un volto o in un piede... "Negli anni Cinquanta dio prese le forme di Di Stefano, fu il primo a creare il modello del giocatore totale, capace di tenere insieme e ricucire il gioco dell'intera squadra. Poi fu la volta di Pelè, l'astro grandissimo degli anni Sessanta. Celestiale e immenso come nessuno, almeno fino a quando gli ressero le forze. Gli anni Settanta, che coincisero col tramonto di Pelè, videro l'esplosione di un erede straordinario: Johan Cruyff. Poi, negli anni Ottanta, è stata la volta di Maradona. E infine, questo decennio che si sta per chiudere sarà ricordato per Ronaldo, ma con lui si è entrati in una dimensione fino ad oggi sconosciuta al calcio". Quale? "Ronaldo è qualcosa di più di un calciatore. E' condannato a rappresentare il calcio della postmodernità. Cioè il calcio che è insieme religione per le masse e affare multinazionale. Tutti dicono che ai mondiali di Parigi lo spettacolo passerà attraverso lui". E' d'accordo? "Non so ancora se davvero Ronaldo sia il miglior calciatore del mondo o se invece stiamo tutti immaginando che lo sia. Anche questo è un frutto della nostra postmodernità". L'idea che ogni epoca, diciamo ogni decennio, consacri un solo calciatore fa pensare a una qualche relazione fra lo stile di un calciatore e quello di un'epoca. La convince? "Direi che la corrispondenza esiste. Mi viene in mente Cruyff, straordinario calciatore, ma anche avaro nella sua grandezza. Il suo modo di giocare corrispose a un decennio che ridusse i consumi, e diede inizio alla conservazione politica. Oppure si pensi a Maradona. Egli ha incarnato la mistica dell'emancipazione sottoproletaria. Dissipativo e arrogante come gli anni Ottanta". Colpisce in lui il fatto di essere stato insieme creativo e autoditruttivo come pochi. "Tutta la sua condotta, da qualunque punto di vista la si giudichi, è un'iperbole. Ma la storia di Maradona è ancora aperta, nonostante abbia strangolato la sua aura". E' difficile che un calciatore che ha finito la carriera abbia poi una vita extracalcistica all' altezza del suo passato. "Pelè c'è riuscito, anche se il prezzo è stato quello di identificarsi totalmente con il potere. Però è stato il solo. In fondo, è come se le masse si vendicassero di quel dio che hanno riverito e osannato. Solo nella distanza temporale, o nella morte, si ha nuovamente nostalgia di quel dio e si è pronti a dargli una seconda vita leggendaria". C'è una qualche somiglianza fra un artista puro e un grandissimo giocatore? "Un grande giocatore è un eroe mediatico e questo lo rende oggettivamente diverso da un artista. Però credo esista un punto di contatto. Anche il grande talento calcistico esprime la sua arte nella capacità di creare e proporre una lettura nuova del gioco. E' la stessa cosa, in fondo, che fanno, o vorrebbero fare, gli scrittori o i pittori". 1) Intervista su Avvenire 2) Articolo su Ronaldo 3) Articolo su Maradona 4) Articolo su Francia '98 |