M.V.M.

Creato il
2/9/98.


Ancora su O Cesare o nulla:

1) Intervista su l'Unità

2) Intervista su Mucchio selvaggio

3) Intervista su Specchio

4) Chi sono i Borgia


MACHIAVELLI BORGIA

ANTONIO GNOLI

La Repubblica, 2 / 9 / 1998.


César y Lucrecia
Cesare Borgia travestito da turco con sua sorella Lucrezia.
Particolare dell'affresco del Pinturicchio nell'Appartamento Borgia del Vaticano.
Un po' come accade con le scatole cinesi, l'ultimo romanzo di Manuel Vázquez Montalbán —O Cesare o nulla (Frassinelli, pagg. 369) che sarà in libreria il giorno 8— riserva molte sorprese. La prima scatola appartiene al protagonista: Cesare Borgia, figura ambiziosa e crudele. La apri e trovi un'altra scatola con il resto della famiglia, dove primeggiano Rodrigo Borgia, lungimirante tessitore del potere che a un certo punto vestirà i panni di Papa Alessandro VI, la bella Lucrezia, strumento più o meno consapevole di Rodrigo e Cesare, cioè rispettivamente padre e fratello.
    Apri anche questa e vedi agitarsi la figura di Savonarola, il profeta disarmato. Non è finita: apri ancora e ti imbatti nell'Italia della fine del Quattrocento, divisa o meglio dilaniata dalle lotte, con l'epicentro in quella Roma papale scenario di congiure che finiscono puntualmente nel sangue. E quell'Italia rimanda in qualche modo alla nostra contemporaneità: alle fazioni in campo, alla lotta senza esclusione di colpi, cui le cronache degli ultimi anni ci hanno abituato.
    Da questo romanzo, tradotto da Hado Lyria, potevamo aspettarci un'esaltazione dell'intrigo e una trama ricca di colpi di scena, ordita di sicari e belle donne, pugnali e veleni. Dopotutto è così che si è alimentata la "leggenda nera dei Borgia". E chi meglio di Montalbán, autore di successo spesso calato nelle trame poliziesche di Pepe Carvalho, avrebbe potuto restituire il clima dissoluto e delittuoso di quei protagonisti? Ed ecco l'ultima sorpresa, l'ultima scatola, la più segreta: dove la storia arretra e si annulla per far posto a un disegno più ambizioso, quello di raccontare il potere e la morte, il sogno di dominio e il fallimento che, spesso, si trascina dietro. Raccontare non già, o non solamente, l'intrigo, ma ciò che segretamente lo alimenta: le passioni che lo esaltano, i pensieri che lo governano. L'ultima scatola è occupata da Machiavelli che vide nell'azione di Cesare Borgia, nel Duca Valentino, il perfetto modello di Principe "Machiavelli che lei ha evocato", mi dice Montalbán che ho raggiunto telefonicamente, "è esattamente il punto in cui la storia di una famiglia diventa riflessione sul potere. Quindi quello che ho scritto, o che mi sono proposto di scrivere, non era tanto un romanzo storico. Ho utilizzato una situazione storica reale. Ma al contempo ho cercato di tirarmene fuori. Il gioco, o la sfida, è stato di scrivere qualcosa sul potere fuori dalla contingenza storica. Nella convinzione che le forme del potere sono soggette al mutamento, ma i suoi meccanismi —starei per dire la sua essenza— sono immutabili. Personalmente non trovo molte differenze fra la storia dei Borgia e quella della famiglia Kennedy.

    Naturalmente lo scenario è diverso, radicalmente diverso, ma l'ambizione, la molla che scatena gli appetiti, è la stessa. Sì, fra il vecchio Kennedy, il padre di John Fitzgerald, che accumula ricchezze e potere senza andare per il sottile, e la strategia di Alessandro VI che punta, senza esclusione di colpi, all'espansione e al rafforzamento del dominio dei Borgia, di cui è il capostipite, non c'è molta distanza morale".
    L'immoralità, o meglio la separazione fra la morale e l'agire politico, è la spezia con cui apparentemente Machiavelli condisce le sue riflessioni sul Principe. Ricordate il diciottesimo capitolo? Vi si legge che il principe deve esser pronto a venir meno ai patti, quando la situazione ve lo obbliga. E mai sentenza fu più perentoria e priva di sfumature.
    Eppure il Machiavelli che Vázquez Montalbán ci restituisce è una figura più complessa, consapevole della tragedia italiana che la morte di Cesare Borgia ha reso evidente. "Il Principe non è il trattato del tiranno e quando Machiavelli immagina la politica separata dalla morale è chiaro che ha in mente il distacco dall'etica cristiana, non dalla morale in quanto tale. La sua visione politica è sorretta dalla ragione. Ho cercato di mostrare, anche nel racconto della partita a carte fra il Segretario fiorentino e il suo barbiere, quanto egli tema la fortuna. Machiavelli è terrorizzato dal gioco capriccioso della sorte. E' questa la sua ossessione: battere l'insidia della fortuna che ti si rovescia contro. La stessa che porta Cesare alla rovina e alla morte".
    In fondo, O Cesare o nulla —e a proposito, il titolo del romanzo suggerisce la volontà di potenza che anima il protagonista— è un grande affresco sul fallimento e su come la storia nelle sue varie manifestazioni si nutra delle disfatte degli uomini e delle cose.
    "Qui tocchiamo la tragicità della politica. Ogni grande sogno porta con sé il suo annullamento, la sconfitta. Ed è quanto accade a Cesare Borgia, fino alla sua caduta egli incarna il sogno del Principe, che è di unire una parte dell'Italia. Dopo la sua morte resta in Machiavelli la nostalgia della potenza di Cesare. E questo secondo me fa del terribile Borgia un personaggio profondamente romantico".
    La morte di Cesare Borgia, sembra dirci Montalbán, è la fine dell'utopia e della speranza: "Malgrado tutto, il Valentino ha incarnato un progetto di libertà e di trasformazione dell'Italia fra il Quattro e il Cinquecento. Libertà che qui va intesa non in senso liberale, ma come l'estremo tentativo di emancipazione dalla potenza francese e spagnola. La sua fu una rivoluzione fallita. E ogni rivoluzione, come la storia ci ha insegnato, da quella francese, alla sovietica per finire con quella cubana, ha in sé i germi della propria caduta".
    Il punto allora è capire che cosa resta di ogni grande esperienza che si consuma tragicamente. Quale volto assume la normalizzazione. Ho trovato particolarmente intense le pagine conclusive di O Cesare o nulla: tramonta un'epoca, fallisce un progetto, ma è come se qualcosa restasse attaccato a ciò che verrà dopo. Alla morte di Alessandro VI, dopo un breve interregno, sarà la volta di Giulio II. La teatralità del potere resterà immutata. In un certo senso anche gli obiettivi saranno gli stessi: "Giulio II tenterà di perseguire la stessa politica dei Borgia ma, come faccio dire a Machiavelli, frenando l'audacia degli uomini e imponendo la ragione del sistema, giacché a ogni epoca di liberalità ne segue un'altra di controllo".
    La Controriforma è alle porte. Quel tanto di laicità e paganesimo che il Rinascimento aveva prodotto attraverso la pittura, le lettere e la filosofia appartengono a una stagione ormai remota. Sfilano nuovi personaggi: Ignazio di Loyola e la sua Compagnia di Gesù, destinata a diventare il braccio ideologico della Chiesa. Sono questi i nuovi tempi che, ironia della sorte, toccherà proprio a un Borgia avallare, a quel Francesco sulla cui ostinata purezza e agonia il romanzo si chiude.


Ancora su O Cesare o nulla:

1) Intervista con lo scrittore

2) Intervista su Mucchio selvaggio

3) Intervista su Specchio

4) Chi sono i Borgia