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Mi manda Pepe CarvalhoMANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁNBell'Europa, numero 7, Ottobre 1997.
Nel già vecchio Pueblo Nuevo (Paese Nuovo), Icaria per gli operai anarchici del XIX secolo e Manchester per i suoi padroni, un ristorante raccomandabile è Els Pescadors, in Plaza Prim, circondata da loft di artisti e occupata da un ombù gigante portato sin lì da qualche "zio d'America". Nel Port Nou, bisogna arrampicarsi sul Talaia, un ristorante imparentato con El Bulli, l'ormai mitico locale di Rosas (Girona) dove lavora l'erede di Robuchon, Ferran Adrià. Se considero Adrià come l'erede di Robuchon è perché è stato lo stesso Robuchon a dirlo; e se da El Bulli il grande cuoco catalano realizza una squisita cucina che più che di autore è di design e di laboratorio, la sua influenza in Talaia crea un'importante sintesi composta da tradizione, mare e postmodernità, sia nelle combinazioni sia nelle composizioni, qualcosa di silmile a una cucina concettuale che voglia tuttavia rimanere popolare. Se non ci si vuole allontanare troppo dal cuore della vecchia Barcellona, c'è sempre il suo Barrio Chino, dove si può mangiare a Casa Leopoldo, e dove la miglior parola d'ordine sta nel dire: "Mi manda Pepe Carvalho o Manuel Vázquez Montalbán, portatemi quel che volete". La tenacia di Casa Leopoldo contrasta con i mutamenti di un quartiere in piena ristrutturazione, dove il piccone elimina le varici delle vecchie prostituzioni e stermina a poco a poco quelli che un tempo furono gli inguini della città ai tempi in cui Jean Genet esercitava in queste strade i mestieri di ladro e di omosessuale (Diario del ladro). |
Non è necessario allontanarsi più di tanto dall'asse radiale delle Ramblas per trovare della cucina catalana a un prezzo accettabile da El senyor Parellada, in calle Argenteria, accanto a Via Laietana. E laddove questa Via incontra il porto, Les 7 Portes, un locale della stessa razza di quello del "senyor Parellada": cucina locale, rigorosa ma passata attraverso i filtri della cultura della magrezza. Attraverso un piccolo passaggio, quasi nascosto da un ufficio bancario, si arriva a un curioso ristorante, El Passadis d'en Pep, dove assaggiare il cogote de merluza (nuca di merluzzo) è indispensabile per la sopravvivenza. In quel che non è più il Barrio Chino, ma la Barcellona Vecchia, nel dedalo di vicoli che avvolgono il Museu Picasso, il viandante deve lasciarsi sorprendere dai negozi di spezie che odorano di Crociate e di scoperte dell'America, o da enoteche come quella di Calle Aguillers, che io abbino a El Celler de Gelida, in Calle Vallespir, nei pressi della stazione di Sants e a metà strada per lo stadio del Futbol Club Barcelona. Due enoteche non tanto ampie ma sagge, con una selezione di prodotti locali ed esteri, che bisogna frequentare avvalendosi della consulenza di venditori propensi alla ragione critica. Al di là delle mura immaginarie della Barcellona del Mare, di quella semplicemente Vecchia o del Barrio Chino, il pellegrinaggio dell'acquirente gourmet ha le sue pietre miliari: il Colmado Quilez, un decano dei vecchi negozi di coloniali che, evolvendosi, hanno raggiunto la condizione di charcuterías (salumerie di prestigio), come il Colmado Lafuente o la Charcutería Molina; e, all'interno del modello di Chez Fauchon è d'obbligo che la Via Crucis si soffermi da Semon, l'unica charcutería della città in cui solitamente mi capita di incontrare ministri o ricchi o semplici speculatori economici ex compagni di università. Semon ha aperto uno squisito ristorante, L'Indret, dove si degustano i suoi prodotti e le loro conseguenze gastronomiche, in una zona benestante che confina a Nord con il ristorante Neichel, il cuoco che fu il remoto maestro addirittura dello stesso Ferran Adrià, con la sua alta cucina di autore; a Sud, la zona confina con il Via Veneto, un ristorante che segue il modello di alta ristorazione da esso rappresentato insieme a Jean Luc Figueres, Reno, Roig Robí, Jaume de Provença, Orotava; quest'ultimo è un ristorante che ha trasformato in murale da facciata uno schizzo realizzato da Joan Miró in un momento di ispirato dopo tavola. Inoltre, se si vuole mangiare del buon baccalà si deve andare al Chicoa, e se il corpo richiede cucina basca al Gorria o al Beltxenea; si può anche andare nel Languedoc senza uscire da Barcellona grazie a La Maison du Languedoc, o in Italia grazie a Il Giardinetto, in Cina grazie a Swan, e se si è in vena di prelibatezze bisogna incamminarsi verso Can Gaig nel quartiere Horta e ordinare un arroz de pichón y ceps (risotto con piccioni e porcini) o verso EI Racò d'en Freixa, dove i Freixa, padre e figlio, si dedicano alla cucina possibilmente più creativa della città, talvolta legata a sapori tanto fragili e pressoché trasparenti come quello dei fiori. Se si desidera invece entrare in contatto con la materia prima e abbondante della cucina gagliega, bisogna immergersi nel falso paquebote (piroscafo) del Botafumeiro con l'andatura di Gargantua all'ingresso e di Pantagruele all'uscita; oppure recarsi da El Carballeira all'interno della geografia di ristoranti del porto. Non cito tutti quelli che ci sono, ma soltanto quanti coincidono con la mia memoria più immediata e indubbiamente ingiusta, una memoria che non solo immagazzina ristoranti o locali con cognomi nobili, ma che può rivolgersi a mercati di quartiere assai degni come quelli del Galvany o di Sant Antoni, già battezzato La Boquería dei Poveri in qualche momento della lotta di classe barcellonese. Sarebbe anche il caso di scendere lungo Calle de la Cera dove si trovano eccellenti caseifici o bacallanerías (negozi di merluzzo salato, dissalato, olive e altre specialità sotto sale o sott'olio) di quartiere, e sottolineo come particolarmente notevole la sopravvivenza di questo tipo di negozio in Catalogna, dove il pesce si dissala ancora con l'acqua corrente dentro vasche di marmo. E ciascun quartiere ha la sua strada-sorpresa, dove il venditore artigianale cerca di difendersi dai supermercati mediante la propria differenza, mediante quell'insaccato o quel formaggio che solo lui può offrirvi in un universo in cui persino un piatto come l'Oreiller de la Belle Aurore può finire surgelato. (Traduzione di Hado Lyria) |