M.V.M.

Creato il
8/7/98.


Ancora su Lo strangolatore:

1) Presentazione di Alessandra Riccio

2) Postfazione di Hado Lyria


G.Albertocchi
Giovanni Albertocchi.

"Il mostro, una vicenda oltre la fantasia..."

GIOVANNI ALBERTOCCHI*

l'Unità, 18 / 2 / 1996.


A colloquio con Manuel Vázquez Montalbán, parlando di letteratura e di "mostri". Lo scrittore conosce la vicenda giudiziaria del mostro di Firenze, ricorda la campagna del Comune che consigliava alle giovani coppiette di non appartarsi e fa l'identikit letterario dell'assassino. Poi all'Unità fa una rivelazione: Pepe Carvalho, il detective protagonista di tanti suoi romanzi non morirà. "Ci ho ripensato, lo mantengo in servizio, riconvertendolo in spia...".

È stato uno sbarramento di grande tenerezza quello che mi attendeva al varco, nella villa di Manuel Vázquez Montalbán: un cane lupo acciambellato vicino all'entrata e giovane "golden retriever" dal pelo chiaro che ama appoggiarsi con le zampe anteriori sul petto dello scrittore e fissarlo negli occhi. Forse spera in una particina in qualche avventura di Pepe Carvalho, anche se il detective ha altro per la testa che i cani di razza: c'è in ballo la sua prossima riconversione professionale, ma questo è un altro tema di cui parleremo in seguito. Torniamo al giovane "golden", in posizione eretta. Dopo essersi liberato dalla presa, Manolo mi fa accomodare nel salone. Dispiego davanti a lui i giornali di oggi, con la storia del presunto "mostro di Firenze", rimesso in libertà. Si rammenta di averne sentito parlare, qualche anno fa, a Firenze dove si era recato per presentare un suo romanzo, Galíndez: si ricorda anche dei manifesti "Occhio ragazzi!" che il Comune aveva collocato per la città per dissuadere probabili vittime a finire nelle grinfie dell'assassino. Il discorso cade sui mostri e il loro pedigree in letteratura. "Il movente reale —mi dice lo scrittore— è la violazione di un tabú, sia nel romanzo poliziesco che in quello che ruota intorno alla condotta psicotica dell'assassino. Sí, si può parlare di un sottogenere del romanzo poliziesco: un esempio? American Psyco di Bretton Ellis, la storia di uno di questi pazzi che vanno in giro a squartare persone in serie, mossi da un impulso criminale irrefrenabile. Ricordo che una volta partecipai a un dibattito, in Francia, in cui era presente l'autore, un tipo inoffensivo, pacioccone, niente a che vedere con le atrocità che era riuscito a mettere insieme nel romanzo".

La realtà e la finzione

"Sono opere che servono almeno a far riflettere sulle origini della violenza: cosa la determina, i fattori che la possono incentivare, come e dove si sviluppa, eccetera. Spesso si deve ammettere che la realtà supera di gran lunga la finzione. A volte lo psicopatico è anche preda di accessi di narcisismo che lo spingono a sfidare la polizia, seminando prove e indizi, vedi Raskolnikov, in Delitto e castigo di Dostoevskij, anche se lí è il senso di colpa che spinge lo studente all'autodistruzione. Il mio Strangolatore invece è di un'altra pasta: mi sono ispirato a un idraulico americano, Albert De Salvo, che soffriva di schizofrenia. Aveva due personalità, di cui una, la malvagia, agiva senza che l'altra, quella normale, se ne rendesse conto. La sua rovina, per dirla cosí, furono gli psichiatri che cercarono di guarirlo, facendo in modo di ricucire le due personalità. Ci riuscirono ma quando lo sventurato si rese conto di essere un assassino, impazzí. Finché era schizofrenico, credeva di essere una persona normale, ma poi quando gli psichiatri e i giudici gli fanno attraversare la barriera del suono della sua coscienza, diventa veramente pazzo. Nel mio romanzo invece il protagonista finge di essere innocente per sfuggire alla lobotomia e questo si riflette nella struttura narrativa. C'è la prima parte piú aggressiva e narcisista, in cui lo strangolatore esibisce il suo tragico curriculum, mentre nella seconda ritratta, cerca di rientrare nei ranghi per timore dell'operazione. È una licenza letteraria che mi sono preso nei riguardi del vero strangolatore: una cosa è il pazzo reale, un'altra il pazzo letterario e forse un'altra ancora il misterioso mostro fiorentino".

Chiedo a Manuel il perché di questo improvviso interesse per lo strangolatore. "Sí, anch'io me lo sono chiesto. Forse sarebbe piú giusto chiederlo a uno psichiatra, anche se a dir la verità gli scrittori non ne hanno bisogno perché è per questo che scrivono. Scherzi a parte, avevo un po' in mente quella frase fatta "l'assassino è tra noi", o meglio che ciascuno potrebbe essere in teoria un assassino. Anche nell'ultimo romanzo della serie Carvalho, Il premio, c'è un momento in cui qualcuno si chiede chi è il vero colpevole nei romanzi gialli, a me viene da rispondere che l'assassino è l'autore. È lui che si inventa il delitto, che pensa a come si può ammazzare e poi farla franca, ma anche a come scoprire il responsabile. C'è dentro fino al collo! Allora mi sono chiesto: immaginiamo che mi faccia prendere la mano da un personaggio, un assassino che si inventa dei delitti per vendicarsi di persone e frustrazioni che hanno condizionato la sua vita. Arriva un momento in cui si scopre che sono delitti immaginari, ma nella sua fantasia sí che li ha commessi".

L'assassino è in noi

Gli faccio notare che anche Pepe Carvalho deve le sue origini a certa curiosità dello scrittore che aveva bisogno di un "pretesto narrativo" per dare un'occhiata in giro, piú che di un detective per risolvere un caso. "Sí, anche il mio strangolatore è una scusa per aggirarsi nel misterioso mondo delle responsabilità individuali e collettive. Piú che fare concorrenza ai trattati di psicologia, ho voluto farne una specie di metafora della solitudine, della incomunicabilità, insomma la storia di un personaggio che si converte nel mostro referenziale di una data società. Ad esempio, fatti i dovuti cambiamenti: Berlusconi è il prototipo di una crisi di modelli sociali determinati. Cosí il pazzo del mio romanzo è il prototipo di una follia post-moderna, di una nuova condizione di isolamento e di autismo postmoderno. Mica avevo la pretesa di contribuire alla storia della psichiatria: da lí ho solo preso il materiale necessario per il mio gioco narrativo, per una finzione. Il vero argomento del romanzo è infatti il potere che conferisce il linguaggio. Ne consegue che il pazzo per difendersi dallo psichiatra deve saperne quanto lui: e deve dimostrargli soprattutto che possiede i codici della sua cultura, al punto che si assiste a un autentico "giro di vite", perché dato che lo psichiatra è un fannullone, è il pazzo che gli scrive le diagnosi su se stesso, insomma è lo strangolatore che si confeziona i propri bollettini medici. Tutto il romanzo ruota intorno al potere che dà il controllo del linguaggio, soprattutto di quello che serve a definire e a curare la follia. Il romanzo ha avuto degli strascichi: dei lettori si sono lamentati perché non si capisce bene chi è lo strangolatore e chi il medico e se quest'ultimo esiste realmente, visto che è l'altro che gli scrive le diagnosi. Ma non era nei miei obiettivi, dare questo tipo di certezze. Anche degli psichiatri argentini si sono lamentati, perché dicono che qui in Spagna li sfottiamo sempre, ma non è vero. Il caso piú divertente mi è successo a Napoli: lí, il romanzo l'ha presentato Claudio Magris. C'era parecchia gente: dopo le solite lamentele per la morte di Bromuro, uno degli aiutanti di Carvalho che ho fatto spirare ne Il centravanti è stato assassinato verso sera (in Italia me l'hanno rinfacciato dappertutto), si alzò uno del pubblico che mi ringraziò a nome, testuale, di tutti gli strangolatori. Sorpreso gli chiesi di rivelare la sua identità e quello, tra il panico generale, disse che era lo "strangolatore napoletano". Comunque, tornando al romanzo, gli psicopatici letterari sono abbastanza inoffensivi, quelli reali come il "mostro" di Firenze, sono ben piú pericolosi".
Ma Carvalho —gli chiedo— non ha mai avuto a che fare con uno di questi folli? "Si, nella Rosa di Alessandria, ma in genere non è quello il tipo di assassino che gli faccio trovare. Lui ha bisogno di assassini qualsiasi, perché voglio dimostrare che chiunque potrebbe esserlo. Lo Strangolatore l'ho scritto per prendere un po' di fiato".

Carvalho non morirà

"Quando scrivo le storie di Carvalho, sono legato mani e piedi al curriculum del personaggio, deve fare questo e quest'altro, invece nei romanzi normali godo di un'assoluta libertà. Anche Carvalho è stanco di ubbidirmi in una pièce teatrale che ho scritto, Prima che il millennio ci separi (in Italia i diritti li ha comprati Feltrinelli), Carvalho si sfoga contro di me, che gli faccio bruciare i libri, lo faccio cucinare e via di seguito. Me ne ha dette di tutti i colori: quando non ne potevo piú, spegnevo la luce". Ma Carvalho —gli chiedo— non era in via di estinzione? "Per adesso, ha appena risolto un altro caso, ne Il premio che uscirà fra pochi giorni. Si tratta di un delitto misterioso nell'ambiente dei premi letterari. Poi gli darò una vacanza premio nell'ultimo atto della serie, Il millennio: con Charo ed il fedele Biscuter, gli farò fare il giro del mondo, almeno di quello in cui è stato per ragioni di servizio".
Siamo quindi ormai per scrivere la parola fine sul famoso detective di origine gagliega? E qui mi arriva la grande sorpresa che Manolo mi autorizza a rivelare come primizia ai lettori dell'Unità: "Ci ho ripensato, lo mantengo in servizio ma riconvertendolo in spia al servizio del migliore offerente, sia esso una multinazionale o una banca, un'università o l'ente autonomo aragonese, la lega lombarda e compagnia bella. Insomma, l'importante è che lo vedremo ancora in azione".
L'intervista è finita. In giardino, il "golden" si esibisce ancora nel numero del cane che ritto sulle zampe posteriori si appoggia teneramente sul petto dello scrittore. Manolo sorride con orgoglio, ma io penso che quel "golden" abbia in mente qualcosa.


*Giovanni Albertocchi è professore di italiano all'Università di Girona. Sporadicamente scrive articoli per EL PAíS e l'Unità.

Ancora su Lo strangolatore:

1) Presentazione di Alessandra Riccio

2) Postfazione di Hado Lyria