M.V.M.

Creato il
18/3/99.


Ancora sul Chiapas:

1) Articolo sul Chiapas del gennaio 98.
2) Intervista per Il Manifesto.


Marcos, il meticciato prossimo venturo

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

La Repubblica, 28 / 2 / 1999.


Con Marcos
Vázquez Montalbán consegna doni gastronomici a Marcos
(foto Guiomar Rovira).

Con Marcos
Vázquez Montalbán intervista Marcos, che ha davanti a sé una copia di E Dio entrò all'Avana (foto EFE).

Sono già passati due anni da quando il subcomandante dichiarò davanti alle cineprese della televisione spagnola, con Georgina Cisquella e Pere Joan come testimoni, che aveva smesso di leggere i miei romanzi di Carvalho perché in piena foresta le ricette cucinate dal protagonista gli mettevano fame. Avevo promesso al subcomandante di includere la cucina precolombiana nei miei romanzi, cibi profondi della foresta Lacandona. A un tratto qualcuno mi aveva messo tra le mani due lettere, indirizzate a Carvalho e a me. "Per: Manuel Vázquez Montalbán e/o Pepe Carvalho, La Rambla, Barcellona, Catalogna, Stato Spagnolo. Da: Subcomandante Insurgente Marcos. Chiapas, Messico". La prima lettera riportava all'inizio una citazione dal Don Chisciotte. Subito dopo, la ricca scrittura del subcomandante, indicato da alcuni autori messicani come un gran letterato potenziale, in cui si dichiarava lettore di Assassinio al Comitato Centrale e de Il Premio.

L'ALTRA lettera invitava a un incontro, diceva come, quando, e ironizzava chiedendomi se possibile di portargli dei chorizos (salami piccanti). Gli avevo risposto e mi ero riproposto di fare un salto nel Chiapas da Cuba mentre lavoravo alla stesura del mio libro E Dio entrò all'Avana (di prossima pubblicazione in Italia, ndt).
Poi c'è stato il massacro di indigeni zapatisti di Acteal compiuto da paramilitari guidati dai cacicchi del Pri. Si era persino dubitato che Marcos fosse ancora vivo. A un tratto Marcos è emerso con la dichiarazione di luglio, una splendida epistola di condanna dell'ipocrisia del governo messicano e dell'ordine globale, con citazioni da Antonio Machado, il più grande pensatore liberale di tutti i tempi che sono stati pensati: "Dall'uomo pubblico bisogna esigere fedeltà alla propria maschera ma, prima o poi", sostiene Mairena, "bisogna mostrare la faccia". E di tutte le maschere, prosegue Marcos, nessuna inganna quanto quella della sovranità dello Stato messicano, di uno Stato che ha venduto migliaia di imprese nazionali per far quadrare i conti con la modernità, o la maschera della democrazia in un paese pieno di desaparecidos e di bande paramilitari al servizio dei cacicchi.
Sono arrivato fin qui richiamato dalla possibilità di incontrare Marcos, superato il filtro dei controlli militari ("Lei è uno scrittore? Intende scrivere qualcosa sul Chiapas?"). Ho portato con me per il subcomandante quattro chili di chorizos di Guijuelo, del torrone, una copia di E Dio entrò all'Avana e aspetto il segnale che arriverà dalla foresta all'imbrunire, un capitano zapatista con il suo passamontagna che arriva a piedi tenendo dei cavalli per le briglie, uno per Guiomar Rovira, giornalista catalana che mi accompagna come fotografa; un altro cavallo per me, che non ho mai cavalcato e il capitano se ne accorge, ma se ne accorge soprattutto il cavallo, che mi guarda diffidente prima, angosciato poi, per regalarmi in seguito la condizione di Indiana Jones risalendo la strada, scendendo i crinali, attraversando il fiumiciattolo, inseguiti per un lungo tratto da un cane che ha fiutato i chorizos. Improvvisamente, un chiaro nella foresta, Marcos con il suo passamontagna e una donna con quello proprio. Mariana, la mia compagna, la presenta, non fatele delle foto, e per favore, non descrivetela. Mariana assisterà alla consegna dei chorizos e del libro con l'ironia mascherata e con lo stesso senso dell'umorismo con cui implicitamente Marcos accetta di non essere il dottor Livingstone come io non sono Stanley.

Marcos ha le mani lunghe, con i palmi erosi a furia di trascinarsi nella foresta per oltre tredici anni, ma le dita sono da professore di filosofia intento a spiegare il "come se" kantiano, quella piroetta dello spirito. Gli dico che sto per introdurlo nella breve misura di un reportage, ma che poi lo scioglierò nella piena libertà di un opuscolo o un libello o un pamphlet. Adora la parola pamphlet.
Montalban: "Ho seguito le cinque dichiarazioni che avete fatto e quel che mi sorprende è lo speciale carattere avanguardista della vostra rivoluzione. Monsivais ha detto che più che un'avanguardia voi rappresentate una minoranza significativa, ma non alla maniera avanguardista di una minoranza che è in possesso di una verità totale. Dopo un apprendistato in contatto con gli indigeni e aver preteso di fare una rivoluzione per loro, avete assunto l'energia di cambiamento e il linguaggio che da loro proveniva".
Marcos: "Noi ci vediamo come un gruppo che pone una serie di domande e ha la fortuna che queste domande riscontrino coincidenze, riflessi o specchi nelle domande di altre parti del paese e del mondo. In ogni caso, il merito dell'Ezln (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ndr) sta nell'aver trovato la frequenza di comunicazione perché tale riflesso molteplice avesse luogo, prima nel Messico urbano, poi nel Messico contadino e indigeno. Ma anche in altri paesi e presso minoranze escluse da altri paesi. La richiesta dell'"Ora basta!" si riflette in altri luoghi".
Montalban: "In parte, la crisi della sinistra in tutto il mondo deriva dalla confusione sul soggetto storico del cambiamento, quando ormai il proletariato industriale in quanto soggetto si è esaurito, decostruito. E con voi appare il soggetto etnico, l'indigeno, il doppio perdente. Denunciate il disordine a partire da quanto è più immediato e ovvio, e non come avrebbe fatto un rivoluzionario tradizionale, applicando uno schema di lotta di classe nazionale o internazionale".
Marcos: "Arrivammo nella foresta come una classica élite rivoluzionaria in cerca di quel soggetto - il proletariato, nel caso della rivoluzione marxista- leninista. Ma questa proposta iniziale si scontrò con le impostazioni delle comunità indigene. Loro hanno un altro substrato, una complessa preistoria di emergenze e ribellioni. E allora modificammo la nostra impostazione in modo interattivo, c'è un prima e un dopo lo zapatismo in seguito al 1994. L'Ezln non nasce da impostazioni provenienti dalla città, ma nemmeno da impostazioni provenienti esclusivamente dalle comunità indigene. Nasce da questa miscela, da questa bomba molotov, da questo scontro che produce un nuovo discorso, un meticciato critico ed emancipatore. Quel che proponiamo è che il cambiamento storico non vada fatto a costo dell'esclusione di un determinato settore della società. Questo implica costi politici, sociali, economici, per una nazione e per il mondo intero. Quando un settore dice "ora basta!", sta cercando di ripetere ciò che altri settori hanno già detto e praticato. Conduce all'esclusione. Non esisterà mai un mondo omogeneo, bisogna rispettare il diritto alla differenza e l'escluso reclama: o fate i conti con noi, con i nostri diritti, oppure fate i conti con il nostro rumore nell'apparente armonia del nuovo ordine internazionale".
Montalban: "L'irruzione dello zapatismo coincide con il proclamato ingresso del Messico nel primo mondo, dopo la firma del Trattato del Libero Commercio. A un tratto scoppia la rivolta zapatista come una smentita a questo lieto fine modernizzatore. La cosa era stata preparata".
Marcos: "E' il processo storico a prepararla. Il liberismo, la globalizzazione, stanno preparando in Messico una grande simulazione: possiamo ottenere di far parte del primo mondo non includendo tutti gli strati sociali, ed eliminando quelli che non raggiungono determinati standard, gli standard liberisti di compravendita. In questo modo vengono messi fuori gioco dieci milioni di indigeni, qualche altro milione di poveri, come se non fossero messicani, perché mai erano stati trattati come tali. È il liberismo a spingere gli indigeni alla rivolta fin da quando comincia a instaurarsi in tutta la sua crudezza nel 1982, liquidando l'ambiguità pseudorivoluzionaria del Pri. Non è lo zapatismo, ma il liberismo a portare all'opzione: permanenza e lotta o scomparsa e morte".
Montalban: "La ribellione indigena è, insieme, esigenza e metafora. Vuole avere un posto in mezzo agli altri ed è la metafora del perdente sociale globale che esige un nuovo statuto di globalizzazione".
Marcos: "Il movimento indigeno zapatista rappresenta il simbolo di chi non accetta di essere sacrificato all'interno di un mondo standardizzato. O le differenze si integrano smettendo di essere tali o vengono eliminate. Perciò il movimento indigeno suscita la simpatia di settori tanto lontani come quello dei giovani, degli anarchici, degli emigranti, delle sinistre riorientate, degli spostati della Terra, in Europa, negli Stati Uniti e nel Messico".
Montalban: "Sciascia aveva risposto alla domanda: "Perché scrive sempre sulla Sicilia?" Perché la Sicilia è il mondo. Il Messico è il mondo e l'indigeno è il globalizzato doppiamente perdente".
Marcos: "Molta gente rise della Prima dichiarazione della foresta Lacandona quando dicemmo che ci proponevamo di marciare su Città del Messico. Le nostre ragioni raggiunsero tutte le città dello Stato e mobilitarono la società civile, quella società che dovrebbe essere il soggetto storico di cambiamento, e ciò che non fecero le nostre ragioni lo fece la decomposizione del sistema. Quelli del Pri cominciarono ad ammazzarsi tra di loro e si scoprì la fastosa corruzione di Salinas de Gortari, il profeta del primo mondo. Adesso mobilitiamo cinquemila zapatisti in tutto il Messico perché venga spalleggiata la grande consultazione di marzo di riaffermazione della rivendicazione indigena".
La voce di Mariana avverte: l' aereo. Infatti l' aereo militare di tutte le sere sorvola la foresta all'imbrunire, come fa l'elicottero militare tutte le mattine. Rimandiamo di ventiquattro ore la conversazione cui si aggiungeranno il comandante Tacho e il maggiore Moisés. Di ritorno attraverso la più solida delle oscurità, mentre ricordo alcuni paragrafi della lettera che scrissi a Marcos alla fine del 1998: "Lamento le fami reali o immaginarie procuratele da Carvalho e vedo difficile il superamento con chorizos degli ostacoli che ci separano, in una chiara dimostrazione che è ancora più facile filtrare persone e parole che non chorizos, forse perché persino i doganieri hanno più paura della peste porcina e del colesterolo che delle teorie e delle ideologie. Voi avete costruito un referente etico inattaccabile, da qui la sua pericolosità in un mercato politico-culturale eticamente tanto svalutato. Voi siete un rumore di disturbo nel canale di comunicazione del pensiero unico. E che rumore!".
Il subcomandante è un po' teatrale, costretto dalla natura della scena su cui si muove, e nasce come risposta alle farse da supermercato della modernizzazione uniformatrice o dei resti del naufragio semantico del marxismo-leninismo. Il subcomandante Marcos è il portavoce colto, molto colto, di insurrezioni essenziali: l'indigeno come realtà e metafora del globalizzato, del meticciato come il desiderabile più che come l'inevitabile.

(Traduzione di Hado Lyria)


Articolo sul Chiapas del gennaio 98.