M.V.M.

Creato il
18/9/98.


Ancora sull'incontro di Bologna:

Articolo di Sebastiano Messina


D'ALEMA, I BORGIA E IL PCI

FRANCESCO MERLO

Corriere della Sera, 11 / 9 / 1998.


Altro che Bolognina, revisionismo e libro nero. Massimo D'Alema, intrattenendo pubblicamente alla festa dell'Unità gli scrittori Manuel Vázquez Montalbán e Andrea Camilleri, ha paragonato la grande saga dei Borgia alla grande saga del comunismo, la famiglia del potere al partito del potere, ha assimilato Rodrigo, Cesare e Lucrezia a Lenin, Stalin e Mao Zedong, «una famiglia-partito che sacrifica la morale e i destini individuali a un progetto politico» e, ancora, per continuare con le parole di D'Alema, «una famiglia che non rinuncia a usare il delitto per raggiungere lo scopo». Lo stesso Montalbán, che ai Borgia ha appunto dedicato un libro, «O Cesare o nulla», ora tradotto in italiano da Frassinelli, è rimasto sorpreso dall'audacia del paragone. «Non ci avevo pensato» ha detto. Platealmente gli è parso eccessivo: «Incalzato da un D'Alema gioiosamente e radicalmente anticomunista lo scrittore sussultava sulla sedia, si dissociava, forse persino si scandalizzava» hanno raccontato i giornalisti presenti alla bizzarra scena.

Eppure Montalbán non è cresciuto ai piani alti di un grande partito comunista e oggi potrebbe pure permettersi qualche suggestione storica audace, persino qualche battuta un po' sbracata. E' vero infatti che la politica di Cesare Borgia fu celebrata da Machiavelli e attraverso di lui fu studiata da Gramsci, ma il libro di Montalbán sui Borgia, il libro che ha ispirato il radicale e divertente e divertito anticomunismo di D'Alema, non è un'allegoria politica sul principe che, secondo Machiavelli, aveva bene amministrato la Romagna e dunque, con la sua spregiudicatezza, poteva forse unire e rendere indipendente l'Italia. Il libro di Montalbán è invece una sorta di enciclopedia nera di quattro secoli di romanzacci e di drammoni sui Borgia, un lungo racconto sulla zona d'ombra del potere, sul cinismo, sul familismo, sulla dissolutezza e sulle turpitudini del potere. L'avesse detto Silvio Berlusconi che il comunismo è stato questo, che è stato solo Pol Pot e Ceausescu, l'avesse detto Berlusconi che i Borgia sono una metafora del comunismo, sarebbe stata una normale sparata delle sue. Vera, certo. Ma anche schematica e parziale, tipica di una cultura della semplificazione com'è stata, sinora, la cultura della destra italiana. Berlusconi, infatti, ha il diritto, se gli pare, di non nutrire rispetto per i versi di Paul Eluard e di Bertolt Brecht né per la pittura di Picasso, l'intelligenza di Trotzkij, la cultura di Bucharin, la genialità visionaria di Carlo Marx e neppure per gli ideali di Gramsci o per il moralismo di Berlinguer, che dei Borgia e pure del principe di Machiavelli era l'esatto contrario. Se davvero fosse assimilabile ai Borgia, il comunismo non sarebbe stato il problema che è stato perché nessuno avrebbe fatto il «Partito di Lucrezia» e poi «l'Internazionale Borgesca».

Quale che sia stata infatti la verità storica e ignorando che l'ultimo dei Borgia a essere ricordato fu un santo di nome Francesco, la parola Borgia è universalmente sinonimo di violenze sfrenate, intrighi, delitti e dissolutezze. Per circa quattrocento anni infatti la letteratura d'appendice, specie quella anticlericale e quella protestante, ha imbastito con l'inchiostro grasso fosche narrazioni di feroci e di orribili colpe, anelli col veleno, papi assassini e cardinali assassinati, grandi dame che sono al tempo stesso madri, amanti, matrigne e figliastre di un sol uomo. Drammi e romanzi sui Borgia sono stati scritti sotto tutte le latitudini sino al «Lucrezia» di Victor Hugo che ispirò il librettista dell'omonima opera di Donizetti e sino appunto a questo «O Cesare o nulla» di Vázquez Montalbán che, a suo modo, li compendia tutti e li supera con eleganza e ironia.

Benché abbia parlato come il leader del Polo, è ovvio che D'Alema saprebbe ancora difendere il comunismo, sia pure senza la foga e l'entusiasmo sfoggiati a Bologna. L'ultima volta accadde nel 1994: «I comunisti sono stati tra coloro che si sono battuti per la libertà...». Il problema non è la coerenza, ma l'eccesso un po' sgangherato, il bisogno continuo di "svoltare", di convertirsi, di rinnegare. Vedrete: questa voglia matta di legittimarsi e di tranquillizzare l'Italia finirà, prima o poi, con l'inquietarla.


Ancora sull'incontro di Bologna:

Articolo di Sebastiano Messina