M.V.M.

Creato il
1/12/97.


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Sul giudice Garzón


Lo Stato è sovrano, può torturare

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

La Repubblica, 25 / 10 / 1997.


Quando piú di un anno fa, il giudice Garzón mosse causa contro i militari argentini implicati nella guerra sporca, come presunti responsabili della desaparición di alcuni cittadini spagnoli, un settore della società argentina si stracciò le vesti davanti a quella che considerava un'ingerenza nella sovranità nazionale e il governo spagnolo fece faccia da poker, vale a dire, più faccia da poker del solito. Curiosa faccenda, questa della sovranità nazionale, in tempi in cui l'economia ci viene dettata dal Fondo monetario internazionale e la strategia militare dal Dipartimento di Stato o dal Pentagono, gli Stati-capataz dell'ordine internazionale si appellano alla sovranità nazionale per ammantare la violazione dei diritti umani. Non è una constatazione di poco conto.La funzione attuale dello Stato-nazione in un mondo globalizzato è soltanto quella di direzione regionale della polizia per controllare i nativi nel loro angolo di universo.

È possibile che non manchino voci critiche nei confronti di una tanto esigua dose di sovranità, ma è pur sempre qualcosa. Sarebbe terribile se lo Stato regionale non fosse nemmeno in grado di reprimere, torturare, far scomparire i suoi sudditi. Sarebbe incomprensibile se non si riservasse questo frammento di sovranità, se rinunciasse persino al monopolio della violenza, ridotta al compito minore di qualche raccolta di fondi per la Croce Rossa o a conservare quattro segreti di Stato di poco peso. Per questo temo che la decisione del giudice Garzón di mandare in galera un militare argentino che non solo ha ammesso la sua corresponsabilità nel genocidio, ma addirittura è venuto a Madrid per confermare davanti al giudice la sua responsabilità, possa inquietare eccessivamente coloro che sono favorevoli alla sovranità nazionale della tortura e della guerra sporca.

Indultati nel loro paese per aver deposto le pistole sui tavoli del potere politico o giudiziario, adesso rischiano di non poter andare oltre frontiera per non essere internazionalmente ricercati. Franco si trovò a non poter viaggiare più in là del Portogallo perchè rischiava che gli venissero lanciati addosso pomodori e uova marce. Ma la faccenda dei torturatori nazionalmente sovrani è assai più rischiosa.
Quindi in coincidenza con i progressi della rogatoria di Garzón, appaiono il mio romanzo sulla questione, «Quinteto de Buenos Aires», e la significativa testimonianza di una nonna argentina di orgine catalana, Matilde Artes Company, autrice di «Crónica de una desaparición», raccappricciante resoconto della scomparsa di sua fìglia e suo genero e del recupero della nipote sequestrata dai militari. Ho presentato il libro di Matilde a Madrid precisamente la sera in cui Garzón metteva dietro le sbarre il militare pentito, fase inevitabile dell'indagine. Gli argentini presenti in sala, amici di Matilde o gente che aveva subito in prima persona la repressione militare, erano soddisfatti in quanto l'indagine di Garzón riscattava la memoria di quell'infamia dalla cospirazione del demone dell'oblio.

È curioso che venga adoperata un'identica ostinazione sia per cancellare la memoria storica, sia per impedire il sogno di un futuro diverso, in cui il concetto di sovranità nazionale possa esser sostituito dal sogno di un'autentica sovranità popolare. Ma bisogna stare attenti alle parole. Per il momento bisogna non allargare il loro rapporto con la realtà e accettare la sovranità nazionale come una prova del fatto che il doppio 1inguaggio è ormai quasi la sola cosa che ci consente ancora di avere idee e 1inguaggio.

(Traduzione di Hado Lyria)


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