M.V.M.

Creato il
3/5/98.


LA SOLITUDINE DEGLI INNOCENTI

HADO LYRIA*


«...filosofava a volte sulla doppia morale e la giudicava inseparabile dalla democrazia. Soltanto i totalitarismi possono cercare di imporre una morale unica, anche se falliscono nel loro intento. La democrazia necessita di un potere disposto a costruire e praticare la doppia morale, altrimenti perisce per via della propria innocenza e mancanza di difesa. Tu proclamavi che il fine non giustifica i mezzi, ma sapevi di mentire a te stesso...»
(Galíndez, pag. 57)

«...so com'č fatta questa ragazza, mi sembra di conoscerla da anni, da molti anni. Appartiene a una tipologia umana che č sempre esistita e che sempre č finita male. Gli innocenti, i poveri innocenti, invischiati nella loro stessa innocenza. I santi laici. Fragili. Tengono spalancate tutte le porte delle loro case e dei loro corpi...»
(Galíndez, pag.285)



Voltaire O'Shea Zarraluqui, incartapecorito traditore professionista che ama gli animali perché sono gli unici predatori innocenti, si lamenta: Roma non soltanto non paga i traditori, ma nemmeno i suoi fedeli. «Galíndez», egli spiega, «appartiene a un tempo in cui tutti ci siamo creduti in diritto di uccidere.» E aggiunge, proprio lui, sibillino: «Siamo pochi i sopravvissuti di quel periodo ad avere la coscienza pulita, quella coscienza pulita che hanno solo i perdenti». Muriel Colbert, la ricercatrice statunitense che in punto di morte constaterŕ di non avere una patria, di essere «pianta sradicata seminata in terra fredda», non sapeva di essere motivo di scandalo, non credeva di dover perdere, inesorabilmente: la sua era passione di conoscenza, non certo del tutto accademica, ma pur sempre codificabile e, di conseguenza, controllata.

«Tuttavia», dice Vázquez Montalbán, «la vita ha una veritŕ che la cultura non possiede e che sfugge ai torturatori come Norman Radcliffe, laureati in letteratura. Esiste gente che agisce, che ha sempre agito, con la cosiddetta coscienza esterna, al di fuori della coscienza stabilita di tutto ciň che gli altri credono sanno e pensano. Un fronte critico di disturbo, sempre estremamente ostacolato dalla cultura del potere.»

Muriel Colbert ha scelto di dedicare la propria tesi all'Universitŕ di Yale all'Etica della Resistenza. Sarŕ questo argomento, e non per caso, a suscitare in lei inizialmente il desiderio, la volontŕ poi, non solo di cambiare il mondo, ma di individuare e denunciare i colpevoli di una morte, quella di Galíndez, che in troppi vogliono far passare per secondaria, e che Muriel identifica —divenuta «vedova nostalgica di un morto senza sepoltura»— come emblema del potere assassino. Muriel sceglierŕ quindi di compiere una discesa agli Inferi alla ricerca della veritŕ tra le radici del male: non le sarŕ piů consentito di uscirne, e pagherŕ per il tabů infranto. Perché la veritŕ di Muriel non blandisce quella del potere, e diventa quindi trasgressione. Un altro innocente, Ricardo, raccoglierŕ tardivamente la fiaccola e riproporrŕ la sfida. Che é la sfida stessa del romanzo: vi sarŕ sempre una nuova generazione pronta a pagare di persona, ignorando di proposito le coercizioni del momento e della Storia, e sarŕ gente che agirŕ da sola, che verrŕ lasciata sola: inesorabilmente.

«Vorrei che Galíndez venisse letto nel futuro», spiega ancora Vázquez Montalbán, «come parte di un'archeologia della mia stessa sentimentalitŕ». Una sentimentalitŕ intrisa del cosiddetto «romanticismo militante», dal quale il nostro Autore seppe ben presto, seppur permeato di nostalgia, distaccarsi, servendosi anche del filtro dell'ironia e dell'autoironia. Una educazione sentimentale che portava —ci portava— mai troppo spesso allo sdegno e a prometeici affanni. Ricordo, l'ho sempre conservata, una lettera speditami nel 1960 da Madrid da Manuel Vázquez Montalbán in cui mi parlava del suo stupore per il caso Galíndez, per l'indifferenza costruita intorno ad esso. La Spagna franchista, del resto, si era ben guardata dal parlarne. «Mi sorprese inoltre parecchio», ha commentato di recente ripensando a se stesso, «ero solo uno studente, e giovanissimo, che si potesse rapire una persona nel cuore della Quinta Strada, un luogo che per me aveva sempre rappresentato il cinema a colori e Gene Kelly che ballava sotto i lampioni.»

Ma giŕ allora il nostro Autore si ripromise di scavare in profonditŕ. Ebbe occasione di farlo solo venticinque anni piů tardi, a partire dal 1985. Furono oltre quattro anni di ricerche ininterrotte nei luoghi dove avvennero i fatti: Madrid, il Paese Basco, New York, Miami, Santo Domingo. Quattro anni di incontri e interviste. Intere giornate negli archivi, nelle biblioteche, in mezzo ad atmosfere e paesaggi, esaltazioni o delusioni cocenti. L'indagine di Muriel non č altro, nei tratti essenziali, che quella stessa compiuta da Vázquez Montalbán per la stesura del presente romanzo. E, come nel caso di Muriel, ha dovuto scontrarsi non solo con muri di gomma, ma con poco velate intimidazioni e depistaggi anche sfacciati. Come accade a Muriel, come si dice accada spesso ai biografi, l'Autore si innamorava sempre piů del personaggio. Gli capitava di rivivere molti suoi terrori; conobbe di certo il disgusto, e il fascino, dei peggiori sottosuoli del Nord e del Sud non geografici del mondo. Ne uscě gravemente sconvolto e depresso.

Vázquez Montalbán dichiara tuttavia di non aver mai voluto scrivere una biografia vera e propria di Galíndez. «Mi interessava invece che il personaggio servisse a una riflessione sull'etica delle diverse generazioni, in cui la finzione sembrasse realtŕ e la realtŕ finzione». Non sapremo mai pertanto (č lo stesso Vázquez Montalbán a celarcelo con equilibratissima perizia), quali episodi siano stati vissuti dall'Autore in prima persona, e quali non siano invece che circostanze possibili o probabili, significative per l'elaborazione del sostanzioso collage che costituisce la materia del testo. Di una storia mi č stata confermata, quasi per caso, la veridicitŕ: l'incontro all'Istituto Dominicano di Cultura Ispanica (promosso com'č ovvio non da Muriel ma dallo stesso Vázquez Montalbán), che non solo fece effettivamente accorrere il presunto figlio di Galíndez, le persone cosě vividamente descritte e tanti altri mesti depositari della memoria dell'esule basco, ma costrinse il voltagabbana Palazón a prendere la parola. Palazón sul palco venne per davvero colpito da una emiplegia. Fu immancabile allora, come nel libro, che tutti parlassero sottovoce di una postuma vendetta di Trujillo: o di Galíndez. Se non della Storia, viene da aggiungere, emersa come uno zombie caraibico da sotto quelle palme e quelle coscienze.

«Se per me i romanzi di Pepe Carvalho hanno rappresentato», spiega ancora Vázquez Montalbán, «una sorta di commedia umana della transizione spagnola alla democrazia, con Galíndez ho voluto scrivere il testamento della memoria storica dell'impegno politico». Ma, come traspare dall'intensa partecipazione narrativa dell'Autore a ogni minimo aneddoto della vicenda, dall'appassionata determinazione con cui si vogliono comprendere e comunicare le tante ambiguitŕ della circostanza e dell'animo dei personaggi, il romanzo č soprattutto un disincantato «elogio della resistenza». Un elogio non meno atroce che tenero della ribellione ai poteri stabiliti: perché questa follia apparente č innanzitutto, nel suo slancio ispirato, una determinante saggezza. «Senza le Muriel del mondo, noi saremmo tutti dei miserabili». Senza le Muriel del mondo. Perché Muriel, sempre piů sola, vuole accertare fino a quale punto una idea «giusta» giustifichi i mezzi che in suo nome si adoperano. Un percorso che, di volta in volta, attraverso turbate constatazioni, la porterŕ a essere un po' meno innocente, le indicherŕ una possibilitŕ, temibile, di conoscenza. Ché la conoscenza č frutto —come ben si sa— avvelenato, ma non nella sua essenza, bensě nel tortuoso divenire che le viene imposto. E Muriel, ormai consapevole, decide di rischiare nel giardino della Veritŕ, che lei vede con occhi da nordamericana non meno accesa delle sue stesse efelidi. Quel giardino, tuttavia, non si conquista con le sole marce contestatarie, e Muriel si trova invece a bordeggiare un terrificante recinto in cui anche Galíndez, non impunemente, si era imbattuto. «Soltanto il potere ha l'impunitŕ», insiste Vázquez Montalbán. Non solo. Perché chiunque prenda posizione al di fuori di esso (e, piů che mai, contro di esso) dovrŕ pagare di persona. Soprattutto se nell'arditezza —certo insolente— di voler cambiare il mondo, ignora di giocarsi la vita o la coscienza. Ci rimetterŕ quasi sempre entrambe.

Nel suo saggio del 1995 Pasionaria e i sette nani (pubblicato presso Frassinelli), Vázquez Montalbán analizza il destino di coloro che furono i grandi combattenti comunisti spagnoli contro la dittatura franchista: «La militanza comunista aveva avuto fondamentali ragioni romantiche, che in molti casi continuarono a sussistere. Ma buona parte dei quadri dirigenti, come accade ai cardinali nella loro rutinaria vicinanza a Dio, fině col predicare la rivoluzione senza credere in essa o almeno senza fidarsi dei rivoluzionari». Questi quadri rimasero isolati perché si giocarono la coscienza. I rivoluzionari rimasero soli perché giocarono con innocenza. «C'č mezzo mondo che mi sta cercando», protesta Galíndez in una sgomenta autodifesa davanti ai suoi aguzzini nella storica prigione Kilómetro 9 di Santo Domingo, che lo vedrŕ morire. Per sentirsi rispondere : «Non cosě tanto e non sarŕ a lungo».

Certo, Galíndez non era un uomo innocente. Non era innocente nemmeno la sua causa, il nazionalismo basco: nessun nazionalismo č innocente. Ma aveva creduto con innocenza che una buona causa, che una causa, giustificasse i mezzi. Morě solo. Le ricerche alla sua scomparsa, non vennero tempestivamente avviate. I giornali ne diedero notizia con grave ritardo. Pochi amici parlarono bene dello sventurato, anche dopo la sua morte. Gli stessi baschi lo hanno dimenticato, o lo giudicano comunque con reticenza.



Il romanzo di Manuel Vázquez Montalbán che ricostruisce la storia di Jesús de Galíndez Suárez e della sua scomparsa il 12 marzo 1956 ha venduto, nella sola Spagna, oltre centomila copie. La sua pubblicazione ha suscitato innumerevoli articoli nel mondo intero, nonché —insieme a incontri e dibattiti— non poche smentite e polemiche. Il libro, tradotto ormai in sette lingue, č stato pubblicato in piů paesi. Nel 1991 ha ottenuto il Premio Nacional de Literatura e il Premio Letterario Europeo.


*Hado Lyria (pseudonimo di Myriam Sumbulovich) č pittrice, poetessa e traduttrice in italiano della maggior parte dei libri di Manuel Vázquez Montalbán.