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IO E L'ITALIA.MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN.Già nel Rinascimento ci era arrivata la proposta dell'endecasillabo attraverso Andrea Navagero, la cosiddetta metrica italiana che generó dispute acerbe contro i poeti tradizionalisti spagnoli, fermi all'ottonario. Nel Rinascimento scrivere in ottonari fu in qualche momento un segno di non claudicazione di fronte "agli stranierismi". Passarono gli anni, anche i secoli, e alla fine del XVIII la borghesia catalana incominció ad affezionarsi alla pasta italiana e al parmigiano come condimento indispensabile. Al porto di Barcellona arrivavano mercanti italiani carichi di questi esotici piaceri e da allora la pasta si è incorporata piú alla cucina catalana che alle altre cucine della Spagna. Vorrei che questi aneddoti servissero ad inserire nella categoria della influenza italiana non solo la poesia, ma anche la gastronomia.     Io sono nato nel 1939, in pieno flirt tra i regimi franchista e mussoliniano. Il cognato di Franco, Serrano Suñer, dava del tu al conte Ciano, e il Duce, nell'incontro di Bordighera con Franco, gli diede un consiglio che il dittatore spagnolo rispettó per tutta la vita: "Non affronti la Chiesa né la moda delle donne". Franco non solo rispettó questo saggio consiglio del signor Benito, ma cercó di inculcarlo anche ad altri statisti, per esempio a Perón, che non lo ascoltó e sappiamo come andó a finire. Dalla mia prospettiva di spagnolo che aveva perso la Guerra Civile prima di nascere, ho dovuto sopportare alcuni anni di cultura parafascista italiana residuale e quando sono stato in condizione di imparare ad essere un intellettuale, avido lettore di tutto ciò che potesse cadere nelle mie mani, allora il franchismo si mostrava già molto cauto nei confronti della nuova cultura letteraria italiana e continuava soltanto a tollerare Papini, Alba de Céspedes, Malaparte (non tutto) e se tollerava il cinema neorealista critico dei primi anni era perchè lo utilizzava come dimostrazione del fatto che non solo in Spagna soffrivamo la fame ed il freddo e dovevamo ricorrere al pane con fantasia.     Quando abbandonai la condizione di ricettore passivo di prodotti culturali e mi mossi verso la cultura di cui avevo bisogno per riaffermare le mie prime impressioni sull'ordine ed il disordine del mondo, era quasi obbligatorio ricorrere alla cultura francese democratica, di piú facile accesso clandestino data la vicinanza della frontiera, e avallata dal fatto che il francese era una lingua di cultura abbastanza abituale in Catalogna. Ma ricordo l'impatto che mi provocó negli anni Cinquanta il mio primo incontro con la cultura italiana democratica del dopoguerra, attraverso Lavorare stanca, che mi portó dall'Italia un'amica di Barcellona, Myriam Sumbulovich, con un piede a Milano, l'altro a Barcellona e le mani cercando lune di quadri di Chagall e assieme a quella edizione di Einaudi, che mi pare di ricordare che includeva anche I mari del sud e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, mi accecó anche un libro di Gramsci, le sue lettere dal carcere, che mi mise sulla strada della precoce conoscenza dell'opera gramsciana, ed insisto sulla precocità perchè Gramsci è stato quasi uno sconosciuto in Spagna fino alla metà degli anni Sessanta. Myriam Sumbulovich, oggi mia traduttrice all'italiano sotto lo pseudonimo di Hado Lyria, ed il suo amico, l'ormai scomparso Mario Spinella, furono i miei fornitori a distanza di quanto di nuovo e buono produceva la cultura italiana degli anni Sessanta.     Ma, come se fosse rimasta pronta all'attacco della mia curiosità e avesse approfittato dell'apertura di uno spiraglio, improvvisamente la cultura letteraria italiana entró nella mia vita con una forza tale che finí per scavalcare quella francese. Il Pavese romanziere, Pratolini, Gadda, Moravia, Piovene, Vittorini, Ungaretti, Montale, Della Volpe, Pasolini... Ricordo l'emozione che rappresentó per me, in piena crisi della mia concezione della funzione sociale e politica della letteratura, la lettura di un articolo di Pasolini su Ulisse, rivendicazione dell'irrazionalità come territorio di ricerca e strumento di percezione che non doveva essere lasciato nelle mani della borghesia e la audacia di Della Volpe nell'operazione di leggere e scrivere (in qualsiasi codice) che andava oltre il dibattito tra la semplice decodifica linguistica e l'interpretazione ideologica. Buona parte di quelle letture mi arrivarono in carcere dove ero recluso e la mia amica barcellonese-milanese fu un ponte privilegiato che mi fece diventare un buon conoscitore della cultura italiana piú avanzata, ponte completato con l'amicizia di José Agustín Goytisolo, forse lo scrittore della resistenza antifranchista piú vicino al mondo culturale italiano. La politica editoriale di Seix Barral, diretta da Carlos Barral, mi rende familiari mostri dell'editoria come Einaudi o Feltrinelli e ricordo che aspettavo con vera ansia la possibilità di leggere Europa letteraria o Rinascita o Critica marxista, esponenti di una sinistra culturale che apriva prospettive abbaglianti a noi rinchiusi nella caverna franchista e nella subcaverna della precaria teoria critica della sinistra spagnola.
    Se i messaggi ricevuti negli anni Cinquanta e Sessanta proponevano una corrispondenza e stabilivano un contatto tra due drammi complementari: la catarsi della grande cultura italiana liberata dal fascismo ed il nostro bisogno di ricevere compagnia ideologica di culture piú avanzate ed emancipate, quel che ci arrivava dall'Italia che si avvicinava agli anni Settanta aveva nell'incubatrice i germi della confusione. Da una parte l'apogeo della ricerca formale, prima presentata come sfida a tutti i codici filistei, e dall'altra la feroce autocritica all'insuccesso della cultura trasformata della sinistra, che avrá in quella proposta formalista la propria confessione di impotenza. L'Italia che da un culturalismo raccolto in se stesso rinnega la propria cultura critica è la stessa che dà nuova vita ai Quaderni Piacentini ed ai Quaderni Rossi, che ci arrivano come un sorprendente esercizio di sovversione all'interno della sovversione. Accanto alla provocazione critica di queste pubblicazioni, Il Manifesto sembrava un giornale accademico e Rinascita un organo espressivo e limitato dal pareggio storico incarnato in modo teatrale e ricco ma anche tragico nell'Italia di Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Ma questo aveva tutt'altra accelerazione e mancava della tradizionale legittimazione che dava vita alla cultura critica postbellica. L'Italia stava incubando il pensiero debole quando in buona parte del resto d'Europa non si erano ancora accorti della sconfitta del pensiero critico come strumento di trasformazione del reale.     Se durante vent'anni la cultura spagnola piú avanzata andó a rimorchio dell'Italia, cosí nel design di giacche di pelle, come di strategie della sinistra (policentrismo, compromesso storico, eurocomunismo) come di sex symbols mentali (Alida Valli, Sofia Loren, Monica Vitti, Laura Antonelli), improvvisamente, in un punto difficile da determinare degli anni Settanta, mi accorsi che la società spagnola si era incorporata ai paradigmi civilizzatori e culturali del neocapitalismo, la MORTE di Franco aveva significato l'adeguamento di una infrastruttura parademocratica alle superstrutture corrispondenti, ricevevamo la stessa informazione, la stessa disinformazione, le stesse colonizzazioni fondamentali e un ruolo simile nella divisione internazionale dell'ordine economico e culturale, anche se la Spagna era ancora ad una considerevole distanza dall'Italia nell'obbedienza ad un modello di sviluppo sociale e nel vantaggio di un sottostrato culturale installato meglio nella contemporaneità. Da Lo scriba seduto, ed. Frassinelli, 1997. Trad. di Hado Lyria. |