Creato il 10/2/98.
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IL MIRACOLO DI PADRE VARELA
MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN
El País e la Repubblica, 25 / 1 / 1998.
L'AVANA - Circondato da una qualificata selezione di scrittori, cantanti, musicisti e professori cubani avevo la chiara coscienza dello scrittore intruso, essendo l' unico straniero infiltrato nella cubanità della celebrazione grazie al personale intervento del ministro della Cultura, Abel Prieto, e alla concessione speciale del vescovado dell'Avana. All' Aula Magna dell'Università, simile alla miglior Aula Magna di questo mondo ma con il valore aggiunto dell'urna in cui riposano le ceneri del Padre Varela, tutti i presenti continuammo ad alzarci e a sederci senza ragione, come i personaggi dei film di Jacques Tati, lungo l'ora di ritardo doppiamente premiata con la presenza di Fidel Castro, non prevista, e di Giovanni Paolo II.
Il rettore dell'Università dell'Avana ha rifatto la storia della formazione dell'identità culturale e nazionale e ha indicato tre delle sue pietre miliari: il Padre Varela, il sacerdote esule in Florida dopo essere stato cacciato da Cuba dalla gerarchia cattolica, fondatore di un possibile nazional-cattolicesimo cubano; Martì che, accettando il retaggio di Varela, mise in moto l'indipendentismo e fondò le basi per una coscienza nazionale laica; e, infine, la Rivoluzione, la quale avrebbe compiuto il processo iniziato da Varela e Martì.
Uno stanchissimo Giovanni Paolo II è entrato nella sala con la lentezza più anziana di questa terra ed è stato quasi cullato da Fidel Castro. Ha ascoltato il discorso del Papa, lo ha letto dalla doppia fessura dei suoi occhi e delle sue labbra, mentre tutti i presenti aguzzavano l'udito per percepire il mormorio, aspettando il momento della frase-flagello, ma l' autore del testo, che evidentemente non era Giovanni Paolo II, aveva mandato in ferie la discordia. Lo scritto, quasi per intero, ha parlato di Varela, davanti alle cui ceneri Giovanni Paolo II aveva pregato in raccoglimento, e dopo la chiosa del sacerdote, sono stati proposti valori patriottici, civili, democratici. Evidentemente il discorso conteneva una carica rivendicativa più che di critica implicita. Ma, sia per la scarsa fiducia nella redditività dell'incontro con gli intellettuali (sempre così versatili e infedeli), sia perché in uno spazio chiuso le aggressioni tendono a riconcentrarsi, quando Giovanni Poalo II ha finito il discorso, il sollievo generale ha scatenato gli applausi e mi sono permesso di commentare all'udito di Roberto Fernández Retamar, direttore della Casa de las Américas: il Padre Varela ci ha salvati.
Perché infatti stavano applaudendo, spellandosi le mani davanti al divino, non solo intellettuali cattolici allontanati dalla fede rivoluzionaria, ma anche Cintio Vitier, il grande scrittore cubano, decano delle lettere, sulla linea di un cristianesimo sempre comprensivo con l'intenzionalità distributiva ed etica della rivoluzione originaria. E applaudivano anche con entusiasmo Fidel Castro, il ministro della Cultura Abel Prieto quello degli Esteri Robaina, il conservatore dell'Avana Eusebio Leal e più di un intellettuale del cui ateismo scientifico sono o ero certo. È evidente che Giovanni Paolo II ci aveva letto un discorso elaborato da altri e che tale discorso insisteva sulle basi del pensiero cattolico, eppure il testo non si è mai staccato da Varela, storicizzandolo di conseguenza. A lettura finita, è stata chiusa la messa in scena di un incontro che può passare alla Storia soltanto se inserito all'interno del processo di beatificazione di padre Varela in corso. Io sono pronto a testimoniare in favore del sacerdote incompreso in vita, perché in attesa di miracoli forse più determinanti, tra i quali non escludo quello di fornire di ideologia l'incontro tra Chiesa e Stato dopo la partenza del papa, figura quello compiuto da Varela il 23 gennaio 1998, quando ottenne che il terzo round dell'incontro Castro-Giovanni Paolo II finisse tra canti celestiali.
(Traduzione di Hado Lyria)
(Copyright El País / la Repubblica)
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