M.V.M.

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10/2/98.


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IL SIGNORE DELLA STORIA

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

El País e la Repubblica, 23 / 1 / 1998.


L'AVANA - È questo il problema. In un incontro tra Giovanni Paolo II e il Comandante Castro è in causa chi sia il Signore della Storia, visto che è già stato deciso che Juan Antonio Samaranch è il Signore degli Anelli. Ricordo questa frase del discorso del Papa: "Ringrazio Dio, Signore della Storia, dei nostri destini". Così cominciava Sua Santità a segnare il territorio spirituale dell'incontro, nel caso Castro si credesse il Signore della Storia in quanto portavoce dei dannati della Terra. Ha sorpreso che il Comandante abbia dedicato buona parte del suo discorso a ricordare la barbarie della conquista. Non convince del tutto la spiegazione che vuole che così abbia inteso rispondere all'ultima uscita di tono del perennemente stonato José Maria Aznar, o di far presente alla Chiesa cattolica cubana le sue complicità con conquistatori, colonizzatori e latifondisti. O forse non è vero che buona parte del gruppo dirigente dell'America Latina, controrivoluzionario o rivoluzionario che sia, proviene da quei criollos che trassero beneficio dalla capacità di conquista e colonia dei predatori, vale a dire dei conquistatori e colonizzatori? Bisognerà analizzare più profondamente le ragioni per cui l'allusione ai conquistatori ha occupato ben 22 righe del saluto di Fidel.
Forse questa scelta fa parte del tentativo di rifondazione della ragione rivoluzionaria basata su radici autoctone: l'indigenismo come causa originaria, il che porta alla condanna della conquista: Mariategui come marxista continentale, il prete Varela e Martì come costruttori dell'immaginario nazionale cubano, Fernando Ortiz come l'intellettuale organico della cubanità e la rivoluzione come opera aperta pronta a una sintesi, per il momento tattica, con un Papa ammirato da Fidel per "le sue coraggiose dichiarazioni su quanto capitò a Galileo, sui noti errori dell'Inquisizione, sui sanguinosi episodi delle crociate, sui crimini commessi nella conquista dell'America e su certe scoperte scientifiche ora accettate da tutti e che a loro tempo, furono oggetto di tanti pregiudizi e anatemi".
La Fondazione Fernando Ortiz fa arte del tessuto della nuova proposta culturale cubana intenta a recuperare l'opera gigantesca di questo erudito e agitatore intellettuale che orchestrò l'impegno di creare una coscienza della cubanità davanti al rischio di una perdita di identità della colonizzazione nordamericana subito dopo la sconfitta spagnola nel 1898. Il centenario di quello che fu un disastro per la Spagna e un trionfo per Cuba ha in Fernando Ortiz un lucido strumento doppiamente valido: non a caso egli fu nel 1926 il promotore della Institución Hispanocubana de Cultura ed è autore di alcune frasi ricordate di recente dallo scrittore Miguel Barnet: "La cultura unisce tutti; le razze separano molti e uniscono soltanto coloro che si credono eletti o maledetti. Si può uscire da una cultura per entrare in un'altra migliore, o attraverso il superamento della cultura d'origine o con l'espatrio spirituale e l'allontanamento dalla medesima. Nessuno può pentirsi d'appartenere a una determinata razza. S'è detto che nessuno può sfuggire alla propria ombra, e ogni razza è un concetto di penombra". Bisognerebbe avere da noi una migliore conoscenza dell'impegno intellettuale di Ortiz, sul quale è appena uscito un saggio pubblicato dalla già citata Hispanoamericana de Cultura. Proprio alla Casa della Cultura di Spagna mi consegnano la monografia di Carlos del Toro sull'argomento, e mi pare un buon gesto per la ricostruzione dell'ispanocubano, opposto al vertice allo scambio di bravate o di cravatte in questo gennaio del 1998 in cui buona parte degli spagnoli viandanti della Storia, con nostalgia cubana, potrebbero mettersi a cantare i versi di Martì: "Quando lasciai Cuba, persi la mia vita, persi il mio amore". Dal balcone di questa poderosa casa culturale, un'eccezione di ricostruzione sul fronte urbano marittimo della rara bellezza di quest'Avana "decostruita", contemplo il mare agitato sotto la pioviggine e l'andatura magica di alcune bambine cubane che graziosamente ballano e avanzano sul muro del Malecon, capeggiate da una guida naturale chiamata a essere, senza dubbio, la Signora della Storia.

(Traduzione di Hado Lyria)

(Copyright El País / la Repubblica)


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