M.V.M.

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21/1/98.


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CREDIAMO NELLA RIVOLUZIONE

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

El País, 18 / 1 / 1998, la Repubblica, 20 / 1 / 1998.


L'AVANA - Sull'edificio principale dell'aeroporto dell'Avana si legge uno slogan che è una dichiarazione di fede: crediamo nella rivoluzione. Ignoro se il cartellone continuerà a essere esposto quando Giovanni Paolo II atterrerà nel corso di uno dei suoi viaggi più missionari e polisemici. Missionari perché la visita fa parte di una complicatissima partita spirituale a scacchi in cui Castro vuole ottenere l'avallo della sua concezione materialista dello Spirito e della storia e la Chiesa vuole ottenere uno spazio materiale perché lo Spirito Santo possa muoversi nell'isola, almeno con la stessa facilità con cui si muove Changò, dio del fuoco, del fulmine, del tuono, della guerra, del ballo, della musica e della bellezza virile. Changò —non dimenticate il nome del dio afrocubano, patrono dei guerrieri e degli artiglieri, è come santa Barbara.
Polisemico perché questo viaggio è un'opera piú aperta dello stesso Gioco del mondo di Cortázar e lo si sta leggendo attraverso i codici piú svariati: alcuni lo vedono, nel bene e nel male, come una legittimazione vaticana del castrismo; altri pensano, nel bene e nel male, che la visita del Papa e l'improvviso protagonismo della Chiesa cubana siano una versione del cavallo di Troia in Polonia, o nell'Urss o a Managua; spicca per la sua sottigliezza la lettura che vede nel viaggio un patto implicito, forse addirittura esplicito, tra Cuba, Usa e Vaticano per creare un pretesto che allenti la tensione tra la rivoluzione cubana e l'impero.
È possibile che la lettura più elementare ed efficace consista nel pensare che i due protagonisti di un così strano contratto spirituale vogliano guadagnare tempo: il Vaticano riconosce una certa stabilità della rivoluzione trascorsi ormai gli anni di inquietudine del periodo speciale e si prepara per quel futuro apostolico emozionale che le chiese hanno recuperato ultimamente mentre crollano le scommesse laiche sul segno della ragione, e il castrismo ha bisogno di tempo per ricostruire il consenso spirituale delle masse impoverite e un discorso alternativo e insieme possibilista per far fronte all'offensiva del capitalismo globalizzato.
Presenzio nella sede diplomatica italiana all'intervento televisivo del cardinale dell'Avana, monsignor Ortega, circondato da diplomatici, da qualche politico rivoluzionario, prima constatazione rigorosamente postmoderna: poiché il cardinale Ortega, arcivescovo dell'Avana, appare in televisione, il cardinale esiste. È la prima volta che unn leader filosofico, tanto per adoperare una definizione utilizzata da Castro per indicare la pluralità tollerabile, dispone di uno schermo televisivo statale che agisce su tutta l'audience potenziale possibile. Nei suoi interventi diretti dal pulpito, il cardinale Ortega é conosciuto per la contundenza prudente, ma pur sempre contundenza, dei suoi giudizi sullo status del cattolicesimo a Cubia. Si aspettava quindi con curiosità di conoscere forma e contenuto della sua prima comparsa televisiva, e tutti noi presenti siamo stati d'accordo nel ritenerlo abilissimo.
Fiancheggiato da una foto del Papa e da una foto della Madonna della Caridad del Cobre, patrona di Cuba, il cardinale ha scalato le metafore bibliche: «La gente, chi dice che io sia?», domandó Gesú ai suoi discepoli, e fu Pietro colui che meglio gli rispose: «Tu sei il figlio del Dio vivente». Premiato con l'essere di pietra e con la promessa che su quella pietra si sarebbe edificata la Chiesa, Pietro fu la testa visibile del cristianesimo e così fino ad ora quando tale rappresentanza viene impersonata da un Papa polacco. Il cardinale ha misurato splendidamente le proporzioni. Credere in Cristo è credere nell'uomo e amarlo perché —egli si e domandato insieme a San Giovanni— può essere un buon cristiano colui che ama un Dio che non vede ed è invece incapace di amare l'uomo che vede? L'esaltazione della dignità concreta dell'uomo concreto è pertanto non solo un retaggio convenzionale culturale che simboleggia la rivoluzione, ma è anche un comandamento secolare cristiano. Il Papa è a favore della vita e così lotta contro l'aborto e medita sul significato della pena di morte e rivendica i diritti materiali dell'uomo: nutrizione, sanità, educazione, vale a dire, si trova assai sulla linea del concetto dei diritti umani esposta da Castro in tre delle sue piú famose interviste.
È chiaro che il cardinale non poteva fare a meno di parlare della libertà come diritto, ma identificata con la verità, poiché la verità ti renderà libero, asserzione provvidenzialmente prossima a «la verità è rivoluzionaria» di Ernesto Che Guevara. Ortega ha emesso uno studiatissimo sistema di segnali ed è stata particolarmente percepita la sua rivendicazione nazionalista nel ricordare il patriottismo polacco di Giovanni Paolo II.
Era impossibile avvicinare piú di così lo spirito della storia allo Spirito Santo, ed è stato a quel punto che Sua Eminenza ha potuto chiedere ai cubani di aprire le loro case e i loro cuori al rappresentante di Cristo in Terra: come un passaggio di Dio attraverso la nostra storia.
Persa ormai la speranza rivoluzionaria cosí come era stata intesa, quando il Che chiedeva due, tre, quattro Vietnam, è impossibile tener viva sine die un'attesa rivoluzionaria in condizioni tanto dure di sopravvivenza, senza un progetto che rilanci o l'entusiasmo o la pazienza delle masse. Sette anni dopo la caduta del Muro di Berlino e di egemonia del pensiero unico neoliberale, senza che in questi sette anni il liberismo economico sia riuscito realizzare il proponimento bicentenario dei suoi fondatori, cioè portare la felicità in questo mondo, nella ridondanza di un rivoluzione isolana e isolata, Cuba necessita non solo di aiuti commerciali e di investimenti, ma di aiuti culturali, intendendo la cultura come consapevolezza del rapporto dell'essere umano con il mondo che lo circonda e con la delimitazione dei suoi bisogni reali e il diritto di soddisfarli, ora e nel futuro. La critica del noeliberalismo compiuta palla Chiesa apre una possibilità di coincidenza ideologica, come la apre pure un nazionalismo inteso in quanto diritto alla differenza. Per questa strategia, la visita del Papa è un dono di Dio. Vista la fiacchezza dimostrata nei paesi del socialismo reale nei confronti di apparati di vertebrazione teoricamente tanto inespugnabili come l'Esercito, i corpi di sicurezza o il partito, e tenuto conto di quanto tarda ad arrivare quell'uomo nuovo cui si è fatto appello in tutte le rivoluzioni da quella umanistica del XIV e XV secolo, il buon senso politico e, perchè no, rivoluzionario, esige che vengano considerate nuove proposte socialmente accettabili. La rivoluzione val bene una messa.
In un momento in cui in Latinoamerica cresce la lettura critica delle conseguenze della globalizzazione economica spinta al ritmo dell'economicismo sociale e politicamente piú cieco, perchè non storicizzare Dio, perchè non storicizzare Cristo come Dio vivente o la Chiesa come subalterna compagna di strada patriottica? A questa domanda, non tutte le risposte sono identiche. C'è chi pensa che il Vaticano sta per introdurre le uova del serpente, tant'è che a L'Avana circola la battuta: il Papa viene a conoscere il diavolo in persona. Castro ha a portata di mano l'accesso a un'altra verità fondamentale. Se per il fatto di trovarsi tanto vicino alla rivoluzione, sa già se questa è una verità o una menzogna, trovarsi tanto vicino al Papa, al rappresentante di Dio sulla Terra, forse lo aiuterà a chiarire un'altra incognita che ha fatto molto pensare, parlare e temere.

(Traduzione di Hado Lyria)

(Copyright El País / la Repubblica)


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