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Robinson ed il capitalismo selvaggioMANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁNVari giornali europei, dicembre 1997.Non riusciró piú a leggere Robinson Crusoe come ho fatto la prima volta, ovvero come l'angosciante avventura di un uomo bianco, un nero, io e un fuoco su un'isola deserta, dove di quando in quando i cannibali si recano per cibarsi delle loro vittime. Il mito dell'uomo libero nella natura libera m'aveva conquistato e ora so che l'aveva fatto per sempre. La seconda lettura fu motivata da un lavoro universitario, attraverso il filtro della pretestuosità di sintesi nell'ambito di ciò che adesso chiameremmo la decostruzione del testo e l'analisi ideologica. Allora già sapevo che il Robinson Crusoe è una metafora e una parabola morale e ideologica sul valore dell'individuo abbandonato alla natura, senz'altro sostegno né appiglio reale se non il suo legame diretto con la Provvidenza. Marx riuscí a comprendere molto bene le intenzioni morali e politiche del Robisnon Crusoe di Defoe e di tutti i Robinson che comparvero in Europa cercando di riprodurre questo modello: «Le robinsonate non esprimono affatto, come ritengono gli storici della civilizzazione, una semplice reazione contro una raffinatezza eccessiva e il ritorno a una vita primitiva mal compresa. Cosí come neppure il Contratto sociale di Rousseau, che tramite una convenzione si rivolge e comunica a soggetti indipendenti per natura, si basa su un simile naturalismo. Questa è solo l'apparenza estetica delle piccole e grandi robinsonate. Esse invero anticipano la società borghese che stava per nascere nel XVIII secolo e che nel XIX secolo muoveva a grandi passi verso il suo apice. In questa società di libera concorrenza, l'individuo appare come liberato dal legame con la natura, che in epoche precedenti l'aveva reso parte integrante di un conglomerato umano determinato, delimitato» Questa lunga citazione tolta dalla Critica dell'economia politica basterebbe da sola a sostenere una tesi sul vero dell'opera La vita e le
straordinarie avventure di Robinson Crusoe di York, marinaio. Daniel Defoe pensava d'aver scritto un'allegoria puritana: il naufrago su un'isola deserta e il castigo con il quale la Provvidenza punisce Crusoe per i suoi peccati contro l'autorità paterna, la sua pochezza di fronte a Dio e la sua scarsa fede nella Provvidenza. Ma Defoe, credendo di essere un puritano, è gia un utilitarista e annuncia il male selvaggio del capitalismo selvaggio. I libri che servirono a creare immaginari del tutto nuovi, il mito dell'uomo libero nel mercato libero, meriterebbero la pietà postmodema e il diritto a essere oggetto di una drammaturgia materializzata in parchi di divertimento finanziati dalla Walt Disney Corporation, per citare un'impresa destinata a imbalsamare le mitologie e gli dei, maggiori e minori. (Traduzione di Hado Lyria) |