Creato il 5/9/98. |
|
Chi ha paura dei catalani?
MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN
Le Monde Diplomatique - Il Manifesto, settembre 1996.
Nel marzo scorso, il Partito popolare (Pp) di José María Aznar ha vinto le legislative in Spagna ma questo successo di stretta misura lo ha costretto ad accordarsi con altre forze, in
particolare con la coalizione nazionalista catalana, Convergència i Unió. Questo accordo, che ha consentito ad Aznar di diventare presidente del governo spagnolo, ha destato enorme sorpresa, soprattutto a causa dell'atteggiamento ostile e quasi razzista di cui il Pp e i suoi esponenti avevano dato prova nei confronti dei catalani e in particolare nei confronti del presidente del governo autonomo di Catalogna, Jordi Pujol.
Fra l'estate 1993, quando il partito socialista operaio spagnolo (Psoe) perse, alle elezioni legislative, la maggioranza assoluta in Parlamento, e la notte del 3 marzo 1996, che ha visto il Partito popolare (Pp) vincere di stretta misura le elezioni e ritrovarsi a capo di una maggioranza risicata, la Spagna ha vissuto una tensione politica e sociale piuttosto singolare. La ragione è semplice: dopo il 1993, alcuni si erano messi in testa di mettere alle corde il governo socialista di Felipe González e di rovesciarlo a ogni costo. La tensione ha raggiunto punte di intensità estrema a causa degli scontri fra due bande: quella dei politici e quella dei media. Le bande dei politici comprendevano da un lato il campo governativo, il Psoe, e dall'altro il resto delle formazioni politiche. Siccome i nazionalisti catalani e baschi sostenevano la politica dei socialisti, le fibrillazioni negative si erano sensibilmente acuite. La destra e buona parte della sinistra accusavano il Psoe di abbandonare lo Stato agli interessi particolaristici dei partiti "anti-spagnoli"; rimprovero largamente condiviso dal
potere mediatico madrileno. A rendere il clima piú rovente, si aggiungeva la guerriglia tra
il governo socialista e il preteso potere giudiziario a causa delle vicende di corruzione economica e di terrorismo di Stato (l'affare dei gruppi paramilitari del Gal) che minavano il Psoe.
Consapevole della debolezza del governo González, il Partito popolare decise di denunciare l'accordo fra socialisti e nazionalisti catalani mettendo l'accento sui privilegi economici
concessi dal Psoe alla Catalogna; spaventando non poco, peraltro, i castiglianofoni con l'affermazione che la lingua catalana avrebbe ottenuto nuovi privilegi. Gli ispanoparlanti dogmatici formano da sempre un gruppo di primati pieni di sospetti nei confronti delle lingue straniere, e soprattutto di quelle che sono sopravvissute alla concorrenza dello spagnolo nei limiti convenzionali dello Stato. Alle loro orecchie il catalano, il galiziano e il basco suonano come lo sfregamento delle lame di un tosaerba intento a castrare il pene linguistico delle Spagne. Sognano l'unità di una lingua assolutista e totalitaria mai esistita, che soltanto la dittatura franchista (1936-1975) era quasi riuscita a imporre. Forte della sua arroganza, o della sua ignoranza, frutto della perversione dei manuali di storia che hanno fatto di noi ciò che siamo, l'ispanoparlante settario ritiene che il galiziano, il catalano e il basco siano invenzioni della democrazia e piú concretamente dei capi nazionalisti separatisti.
Constatando la presenza di catalanoparlanti nell'esercito spagnolo del XIX secolo, gli ufficiali e la truppa chiamavano "polacos" (polacchi) i ragazzi che si esprimevano in questo
dialetto curioso. L'epiteto sprezzante sarebbe poi passato nel gergo moderno. Di recente, in uno stadio di calcio, durante la partita che vide la vittoria del Real Madrid sul Barcellona FC
nella finale della Super Coppa, si sentirono le grida di "Al bote, al bote/Polaco el que no bote" ("Saltiamo, saltiamo/Polacco chi non salta"). Uno slogan che suonava come la parafrasi di una delle piú celebri parole d'ordine della lotta antifascista: "Al bote, al bote/Fascista el que no bote" ("Saltiamo, saltiamo/Fascista chi non salta"). Si sa, naturalmente, che fin dagli anni 20 il Barcellona FC è il rappresentante simbolico dell'armata senz'armi della Catalogna e
che il Real Madrid è stato un'invincibile legione nelle mani della propaganda franchista.
L'irritazione crescente di parte degli spagnoli contro i catalani era dovuta in gran parte all'egemonia del Barcellona FC, vincitore di quattro campionati consecutivi.
Perciò, dopo la relativa sconfitta socialista del 1993, l'appoggio che i nazionalisti catalani assicurarono ai socialisti fu denunciato dalla destra come "un prestito egoista fatto da un popolo usuraio e levantino" rappresentato dal presidente autonomo della "Polonia", Jordi Pujol.
Solitamente il giornale conservatore ABC descrive Jordi Pujol come un usuraio ricattatore che taglieggia il governo socialista per ingrassare la Catalogna mentre la Spagna deperisce. Nei giornali e alla radio (soprattutto sul canale della Cope, di ubbidienza passabilmente ecclesiastica), faceva fine criticare Pujol e il nazionalismo catalano indicandoli come responsabili di un "genocidio linguistico" perpetrato contro gli ispanoparlanti residenti in Catalogna. Si rimproverava anche al presidente della Generalitat di sostenere i socialisti al solo scopo di ricevere prebende a favore dei catalani e a spese della Spagna povera.
"Genocidio linguistico"
Influenzati da queste campagne di stampa, molti cittadini dimenticarono le sfumature degli editorialisti e se la presero con tutti i catalani, accusandoli di essere "un'etnia segnata,
come gli ebrei o gli scozzesi, dal demone del denaro, una razza maledetta, schiava dell'assioma secondo cui solo il denaro rende felici". Un autista di taxi madrileno arrivò al punto di
rifiutare la mancia di un cliente catalano; alcuni negozianti e industriali di puro sangue spagnolo cessarono bruscamente di scambiare prodotti catalani. Ci fu anche chi sostituí il cava, uno spumante catalano, con un altro vino fatto a Ribera de Duero o a La Rioja, per esprimere clamorosamente il rifiuto dell'odiosa, ricca, insaziabile Catalogna.
La punta di diamante di questa offensiva contro il patto Pujol-Psoe era il quotidiano ABC, un giornale che da tempo tiene d'occhio il demone familiare del secessionismo spagnolo. Mentre
scrivevo il mio romanzo su Franco e il mio saggio su Dolores Ibárruri, Pasionaria y los Siete Enanitos, ebbi spesso a consultare alcuni numeri di ABC dell'inizio del secolo. Sono
quindi in grado di affermare che gli argomenti a favore dell'unità spagnola e il concetto della patria vista come un recinto unitario e monolingue strettamente sorvegliato dalla Guardia Civile, sono temi costanti e ripetitivi che funzionano sempre, si tratti della Spagna del 1910 o di questo fine secolo.
Pujol è stato accusato di essere "piccolo di statura" e, in un articolo intitolato "Franco-Pujol", si poteva leggere: "Pujol, come si vede, è un signore piccolo piccolo.... Anche riducendo la carta geografica non si riuscirebbe a far entrare la Catalogna dentro Pujol. Eppure Pujol è convinto di portare in sé tutta la Catalogna". ABC critica la politica "provinciale e mercantile" di Pujol senza capire che questi non difende gli interessi della
Catalogna ma una politica economica voluta dall'intero patronato spagnolo che ha fermamente sostenuto tutti i ripiegamenti a destra imposti da Pujol ai socialisti. Jordi Pujol è l'unico dirigente della destra spagnola ad aver combattuto il franchismo. E' stato arrestato, torturato, incarcerato; ha saputo utilizzare questo passato di resistente per vendere la propria immagine sul mercato democratico. Ma egli parte dal principio che la buona salute di un paese dipende dalla salute delle sue aziende; in questo senso, e grazie ai suoi contatti internazionali, egli è il rappresentante della parte piú ambiziosa del capitalismo spagnolo, e non solo catalano.
All'origine dell'intera campagna anticatalana degli anni 1993-1996, c'era il progetto di "immersione linguistica" deciso dal governo di Catalogna, che prevede l'insegnamento del
catalano a tutti i bambini fin dall'inizio della scolarità e la loro "immersione" in questa lingua. Mezza Spagna si mise a urlare inorridita per la sorte di migliaia di bambini residenti
in Catalogna ma originari di altre regioni della Spagna, strappati dalle braccia delle proprie madri per essere gettati nel calderone dove gorgoglia il "bollito" del catalano, la lingua di una borghesia nazionale e sfruttatrice. Persino uno scrittore di sinistra come Antonio Gala reagí vivamente: "Se i miei figli andalusi dagli occhi neri si trovano in Catalogna, non è per impararne la lingua". Da parte loro i catalani, d'accordo o no con Pujol e con il patto, sostenevano di sentirsi storicamente disprezzati dal resto della Spagna e fiscalmente sfruttati. In questo clima, il gruppo di estremisti che tratta il castigliano come una lingua
straniera in Catalogna sebbene tutti lo capiscano e almeno la metà della popolazione lo parli si è sentito autorizzato a reclamare la fine della coabitazione linguistica a vantaggio
esclusivo del catalano. Persino i piú accaniti fra gli avversari di Jordi Pujol si sono sentiti destinatari degli insulti rivolti al presidente perché capivano che essi miravano ad altro.
E' in questo contesto che fu pubblicato El Llibre negre de Catalunya ("Il libro nero della Catalogna") dello storico Josep-Maria Ainaud de Lasarte, dal sottotitolo eloquente: "Da Filippo V all'ABC", ossia dall'anno zero dell'occupazione della Catalogna da parte del primo re Borbone all'inizio del XVIII secolo (primo tentativo di estirpare
sistematicamente la catalanità) fino alla crociata permanente del giornale ABC contro "il genocidio della lingua spagnola in Catalogna". L'autore fornisce un impressionante elenco di
citazioni rivelatrici di tutte le vessazioni subite dalla Catalogna moderna.
Ecco alcune perle citate da Ainaud de Lasarte: "Non bisogna scegliere gli strumenti meno forti o meno efficaci, ma quelli piú energici e piú risoluti per cancellare dalla memoria dei
catalani tutto quanto potrebbe ricordare loro le vecchie Costituzioni abolite, i loro usi, diritti e costumi" (Consiglio di Castiglia, 1715).
"Ci piace vivamente constatare che, conformemente al capitolo provinciale, tutti i nostri religiosi parlano fra di loro in castigliano, e ordiniamo che tutti parlino fra di loro e con gli altri, in latino o in castigliano, pena il castigo a pane e acqua ogni volta che essi converseranno in catalano" (Articolo 10 del decreto di visita dell'anno 1755 del provinciale des Esculapes, Padre Jorge Caputi, a Mataró).
"Il maestro de La Bisbal ordina a tutti i suoi discepoli che d'ora in poi essi parlino e leggano i libri nella lingua castigliana; avvertendo che non considererà con indifferenza gli
errori che potrebbero essere commessi ciò facendo, perché non sono degni di compassione quanti non rispettano con tutta la loro forza la volontà del nostro bene amato monarca" (Ordine del signore di La Bisbal, Francisco Fina, in applicazione del regio decreto di Aranjuez del 23 giugno 1768, di re Carlos III, che vieta il catalano a scuola).
Le cose non migliorarono molto nei due secoli seguenti. Nel 1801 furono espressamente proibite le rappresentazioni teatrali in catalano; nel 1810 si ricorda che le norme giuridiche della tradizione catalana non sono valide; nel 1857, si ribadisce che il catalano non ha posto nella scuola; nel 1901 si teorizza la necessità di escludere i catalani dalla funzione pubblica; nel 1905, La Correspondencia militar pubblica un articolo che reclama l' "eliminazione" dei deputati e senatori catalani dal Congresso; nel 1915 il parlamentare Royo Villanoba si esalta: "Mai e poi mai accetterò che la Catalogna sia una nazione!". Nel 1924 l'architetto Antonio Gaud viene fermato per aver parlato catalano nella pubblica via; nel 1925 un cittadino è incarcerato perché portava un distintivo del Barcellona FC; nel 1932, un uomo politico, Balbontín, definisce il catalanismo una "stronzata"; nel 1933, i repubblicani gridano a Madrid: "Abbasso lo Statuto della Catalogna! Viva la Repubblica!". Nel 1934 un deputato monarchico, Antonio Goicoechea, dichiara davanti all'Assemblea repubblicana che "la maggior parte dei catalani vuole essere liberata dallo statuto di autonomia"; nel 1936, all'inizio della guerra civile, il generale Queipo de Llano suggerisce: "Facciamo di Madrid un frutteto, di Bilbao una fabbrica, e di Barcellona terra bruciata". E questo generale alcolizzato aggiungeva: "I veri patrioti non pagano i loro debiti ai catalani".
E' proprio un caso che una delle prime persone fucilate dalle truppe franchiste dopo il colpo di Stato del 18 luglio 1936 sia stato un viaggiatore di commercio catalano? Era catalano,
commerciante —una professione maledetta—, si chiamava Sucol, e, oltretutto, era il presidente del Barcellona FC...
E' inutile dilungarsi sul periodo franchista, tutto ciò è rimasto ancora vivo nella memoria ferita dei catalani. Ma Ainaud de Lasarte non dimentica la catalanofobia contemporanea, quella
che, dopo il 1993, tira fuori di nuovo le vecchie accuse di "purezza linguistica contro la lingua spagnola", o di tentativo di "separazione dei bambini catalanofoni dai loro genitori
castiglianofoni".
Subito dopo l'alleanza blasfema fra González e Pujol, nel 1993, il giornale ABC titola addirittura: "Come Franco, ma in senso contrario. Il castigliano perseguitato in Catalogna". Tutte le lettere di lettori pubblicate sul giornale vanno nella stessa direzione: i cittadini sono sconvolti dalla castrazione linguistica che lo spagnolo subisce in Catalogna. Uso la parola "castrazione" perché essa figura, ad esempio, in una lettera scritta ad ABC da Miguel Sánchez Mazas, un uomo peraltro spesso stimabile: "Questa crudele, traumatizzante e ripugnante
operazione chirurgica condotta dall'attuale Generalitat de Catalunya che si appresta a praticare un'autentica castrazione linguistica, psicologica, morale, culturale, sociale della
nobile comunità ispanofona di questa regione è il colpo basso piú spregevole mai portato alla cultura della Spagna da che esiste il nostro paese".
Quando il Partito popolare vinse le europee del 1995, i suoi sostenitori manifestarono gridando: "Pujol, enano, habla castellano!" (Pujol, nano, parla castigliano). E la sera del 3
marzo 1996, quando tutti gli exit poll indicavano che la vittoria del Pp alle legislative sarebbe stata cosí ingente da assicurargli la maggioranza assoluta all'Assemblea e che non ci
sarebbe stato alcun bisogno di alleanze con un altro partito, gli stessi sostenitori scesero di nuovo in strada ripetendo: "Pujol, enano, habla castellano!". Ma gli istituti di sondaggio iniziarono a correggere le loro previsioni: la vittoria dei conservatori si fece sempre piú
stretta e fu presto chiaro che il Pp avrebbe avuto bisogno del sostegno dei nazionalisti catalani per poter governare.
Ed ecco che si verifica il miracolo. Da un giorno all'altro, José Maria Aznar, capo del Pp, dichiara che egli parla catalano e che, inoltre, com'è logico, lo capisce. E, bruscamente, altri dirigenti del Pp si ricordano, miracolosamente, che passano le ferie in Catalogna sin dalla prima infanzia. E si accorgono che il loro modello di società e il loro riformismo economico coincidono con quelli del nazionalista Pujol.
Fin dal giorno dopo, il 4 marzo, i gruppi di pressione (industriali e banchieri) che avevano imposto l'accordo Pujol-González, cominciarono a mobilitarsi per riconvertirlo in accordo Pujol-Aznar. Com'era possibile, dopo tanta isteria anticatalana e antispagnola? Come riconvertire gli spiriti dei sostenitori ispanisti e antipujolisti di Aznar? Come modificare
la mentalità dei sostenitori catalanisti e antiispanisti di Pujol?
Solo questione di abilità e di capacità di comunicazione. Dopo la vittoria, Aznar dice ai militanti: se firmiamo questo accordo, governeremo. In caso contrario, il Psoe rimarrà al potere oppure dovremo affrontare nuove elezioni. Quanto a Pujol, egli spiega ai suoi tutti i vantaggi di un patto con la destra ispanista; questa dovrà finalmente accettare la Catalogna come "entità distinta" e fare concessioni inedite in materia di autonomia.
Pujol trasfigurato
Anche se la base, a malincuore, ha accettato, Pujol sa bene di fare un passo a destra e di indebolire con questo accordo la propria immagine "gaulliana"; poiché egli intrattiene con la
Catalogna un rapporto simile a quello che il generale de Gaulle diceva di avere con la Francia. Egli è la Catalogna, egli è lo strumento di una "grandeur" che non vuole ottenere attraverso la
violenza della separazione ma piuttosto sviluppando piú fortemente la Catalogna per avvicinarla alla parte piú ricca dell'Europa. Il sogno nazionalista di Pujol è che un bel giorno la Spagna
diventi nient'altro che il vicino geografico di una Catalogna integrata a parte intera nell'Unione europea. Convinto neoliberale, Jordi Pujol si propone di associare al suo progetto
il capitalismo catalano evitando l'opposizione del capitalismo spagnolo, poiché entrambi ubbidiscono alla stessa dinamica del capitalismo internazionale. Ritenendo che la Catalogna debba puntare tutto sulla mondializzazione, incoraggia la "modernizzazione" dell'economia catalana secondo le norme del liberalismo piú aggressivo.
Per bizzarro che sia, l'intero dibattito infuocato degli anni 1993-1996 sembra dimenticato. Nessuno si preoccupa piú dei poveri castiglianoparlanti affogati nella presunta immersione
linguistica operata in Catalogna. Dimenticata la Spagna povera, anche se ancora piú povera adesso, a causa dell'arricchimento potenziale dei catalani. Alcuni pretendono ora che Pujol non sia poi cosí piccolo, altri giungono a trovarlo alto e biondo...
L'Internazionale popolare, cui appartengono sia il Pp che l'Unió Democràtica (il partito di Pujol), veglia sull'accordo fra conservatori spagnoli e nazionalisti catalani: vuole che duri
per poter meglio difendere i criteri di convergenza richiesti da Maastricht. I catalani sperano anche che il Barcellona FC vinca il prossimo campionato: se cosí fosse, il patto Pujol-Aznar si
protrarrebbe ben oltre i confini del nuovo millennio.
| |