Creato il 26/8/98. |
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IL MONDO SECONDO PEPE CARVALHO
Quim Aranda
L'Unità, 9 / 8 / 1997.
Lo scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán si è messo, per El Pais, nei panni di Pepe Carvalho, l'ormai celeberrimo investigatore dei suoi romanzi. In questa intervista, a rispondere in modo così laconico alle nostre lunghe domande, è in realtà - lo confessiamo - lo scrittore. Ma è come se parlasse il "suo" detective. Stiamolo a sentire.
—A chi si sente più vicino, al Bogart di Casablanca o al Bogart del Falcone maltese e del Grande sonno?
—Mi sento più vicino alla Ingrid Bergman di Casablanca.
—Quando, all'inizio degli anni '70 e dopo aver passato un periodo di quasi dieci anni negli Stati Uniti, lei aprì il suo ufficio a Barcellona, gli investigatori privati non erano granché di moda in Spagna. Si sente un po' pioniere in questo campo? Quali sono stati i principali ostacoli che ha dovuto affrontare per avviare gli affari e diventare famoso?
—Sono diventato famoso acciuffando gli assassini di uomini ricchi o potenti. Una cosa del genere è accaduta a Gabriel García Márquez quando ha vinto il premio Nobel: "D'ora in poi —mi disse— frequenterò solo duchi e presidenti".
—La sua biografia è piena di lacune, il suo passato è torbido. Figlio di sconfitti della guerra civile, studente di sinistra all'università di Barcellona negli anni cinquanta, militante comunista, prigioniero del franchismo, agente della CIA implicato in avvenimenti storici di prima grandezza negli anni '60... Si è mai domandato il perché di questo andirivieni tanto radicale, quasi schizofrenico?
—La mia vita ha un unico scopo: educare il buon marxista alle contraddizioni che albergano nella sua anima.
—Non si sente uno spostato, un po' traditore di tutte le cause, compresa la sua?
—Sì.
—Per quasi vent'anni lei ha avuto una relazione sentimentale irregolare con Charo, una prostituta del quartiere cinese di Barcellona. Lei era la sua fidanzata, ma non era vero il contrario, almeno non nel senso classico. Le parole fedeltà e impegno in una relazione di coppia significano qualcosa per lei, o sono solo convenzioni morali tutto sommato reazionarie?
—La lealtà è fondamentale in un rapporto di coppia, ma a partire dalle condizioni iniziali. Se
incontri una persona vergine è un conto, se incontri qualcuno, uomo o donna, che si prostituisce è un altro conto.
—Per caso o intenzionalmente, da quando lei è tornato a Barcellona si è sempre circondato di
persone che avevano bisogno di lei: Charo, la fidanzata malgré tout, Biscuter, l'assistente, e
Bromuro, il lustarscarpe spione che vive praticamente delle mance che gli dà lei. Dipende dal suo egocentrismo, dal bisogno di sentirsi utile agli altri pur senza ammetterlo, o è semplicemente un altro sintomo di quella schizofrenia che la contraddistingue e che la spinge a distruggere tutto quello che tocca, tutti quelli che la amano o che ama?
—E' una domanda troppo soggettiva. Non ho mai distrutto niente, perché non ho mai accettato
qualcosa completamente. Le vittime cadono, non sono io che le faccio cadere.
—Perché le costa tanta fatica amare e soprattutto lasciarsi amare? Un trauma infantile?
—Non sono in condizione di ripagare affettivamente qualcuno in modo assoluto, l'unico che mi
potrebbe interessare. Sono un platonico.
—Allora il mondo è fatto di vittime e carnefici? Se dovesse scegliere, da che parte starebbe?
Perché? Se ha scelto di stare dalla parte delle vittime è per un segreto movente sentimentale di solidarietà con i più deboli?
—E' perché sono cosciente delle mie debolezze segrete, della mia intrinseca fragilità.
—Per molto tempo, lei ha coltivato due passioni, le donne e la cucina, ma soprattutto la cucina. Però, alla sua età, non ha più molta resistenza per queste due attività. A sessant'anni suonati, con che spirito affronta l'ultima fase della sua vita: rassegnazione, paura, impotenza, rabbia?
—Cerco di segnare il tempo che mi resta con acrobazie sessuali giapponesi.
—La vita e la storia sono state come se le meritava?
—Sì.
—Attraverso le sue indagini e la sua biografia, si può seguire buona parte degli ultimi venticinque anni di storia della Spagna e della società occidentale. Fino a che punto il suo atteggiamento cinico e disincantato, scettico e sfiduciato, provocatorio, ma in fondo passivo, riflette una diffusa sensazione di impotenza di fronte a un mondo che non è come l'aveva sognato la maggior parte della gente?
—Il mio punto di vista è da cronista. E questo riflette l'impotenza sentimentale della ragione.
—Senza anticipare nessun elemento essenziale della sua prossima avventura, La ragazza che potrebbe essere stata Emmanuelle* ["La muchacha que pudo ser Emmanuelle", pubblicato a puntate su El País nell'agosto 1997], può darci qualche informazione sul ruolo di Biscuter? Riuscirà finalmente a liberarsi dal giogo che lo sottomette a lei e che gli impedisce di vivere autonomamente? Charo tornerà dall'esilio in Andorra?
—Biscuter mi ha chiesto di avere un ruolo più attivo. La sua domanda mi secca, ma la sua
frustrazione mi seccherebbe di più. Charo tornerà con L'uomo della mia vita* ["El hombre de mi vida"] all'inizio del '99.
—Lei disprezza gli intellettuali, ma in fondo è come loro: ha la stessa formazione, usa gli stessi codici per capire la realtà. A che so deve la sua apostasia? Perché le piace bruciare i libri nel caminetto di casa? Non le sembra un po' reazionario? E non dica che la cultura non le ha insegnato a vivere e che, per questo, si vendica, perché questo sarebbe l'ennesimo alibi
intellettuale.
—Non disprezzo gli intellettuali, ma li conosco come se li avessi partoriti io. Sinceramente.
A volte brucio il primo libro che mi capita.
—Di cosa è pentito Pepe Carvalho? Di aver ucciso John Fitzgerald Kennedy o di non aver ucciso Francisco Franco?
—Kennedy era robetta e Franco è sempre stato morto. Era la morte.
—Nei suoi venticinque anni di carriera, lei ha indagato su piccoli casi, ma anche su delitti
eccellenti. Dopo La ragazzache potrebbe essere stata Emmanuel* quale mistero le piacerebbe risolvere: chi ha ordito la trama che ha portato Luís María Ansón [ex direttore del giornale conservatore ABC, monarchico] alla Reale Accademia di Spagna, perché Miguel Ángel Rodríguez [portavoce del Governo Aznar dal marzo 96 al luglio 98, personaggio molto singolare] continua a essere il portavoce del governo, chi è il responsabile della fuga in Italia di Ronaldo, quanti soldi in tangenti si sono rubati i mercenari della guerra delle piattaforme digitali?
—Il caso Rodríguez. Si arriverebbe alla conclusione alla Unamuno che noi spagnoli siamo governati da organi. Aznar mantiene Rodríguez organicamente. E per la fuga di Ronaldo all'Inter, la colpa è sempre e soltanto di Rodríguez.
(Traduzione di Cristiana Paternò; copyright "El País Semanal")
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