M.V.M.

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2/9/98.


Sabotaggio olimpico

PIERO SORIA

LA STAMPA, 24 / 7 / 1992.


Da domani, e per tutta la durata dell'Olimpiade spagnola, Pepe Carvalho, l'investigatore privato delle Ramblas, indagherà in esclusiva per La Stampa perché i Giochi di Barcellona siano salvati dalla terribile minaccia che incombe funesta sulla città: il sabotatore nero.
    Il poliziotto buongustaio, una specie di Nero Wolfe catalano più arguto ed irridente del suo grasso ed immobile collega newyorkese, sarà costretto ad abbandonare pigrizie e sughi, perché il suo inventore, Manuel Vázquez Montalbán, ha deciso di metterlo al servizio di re Samaranch e del suo variopinto stuolo di teste coronate, a partire dalla regina Sofia per finire con la principessa Anna d'Inghilterra. Povero Pepe. Lui che detesta tutte le folle che vengono a rubargli i tramonti e le albe della sua Barcellona, lui che aveva già chiuso finestre e persiane della sua casa di Vallvidrera e si era già ritirato sulla terrazza in slip con le liste di Fauchon in una mano ed un buon libro nell'altra, si vede piombare addosso all'improvviso "paracadutisti, guardia civil, polizia privata, polizia mista, assaltatori, vaneggiatori dell'Opus Dei, zampognari scozzesi, orfani del socialismo reale, boy scout, soci del club nautico, gorilla da night club, omosessuali senza complesso di colpa e yuppie in crisi di crescenza". Lo prendono e lo impacchettano. E lo portano al cospetto di un Don Juan Antonio Samaranch dal volto spezzato dalla solita smorfia gastrica che tanto lo fa somigliare un Humphrey Bogart massacrato dall'ulcera.
    —Tutto ci fa pensare che ci troviamo di fronte a un sabotaggio olimpico premeditato con sagacia.
    —Che ve lo fa pensare?
    —Johnson, l'atleta di origine giamaicana, naturalizzato canadese, primo vincitore di una medaglia a Seul per il suo trionfo come centometrista, poi squalificato per doping...
    —Sì?
    —Ha realizzato i cento metri piani in 6 secondi e 4 decimi. Altro che sospetti... È un tempo da tigre, non da uomo.
    Ma non basta:
    —Si è scoperto che il quaranta per cento della delegazione negra non è composta da negri.
    In altre parole, sembra che gli atleti bianchi usino una tecnica inversa a quella usata da Michael Jackson per trasformarsi in invincibili velocisti di colore. I perché sono evidenti: non solo il pubblico è più attratto dall'eleganza felina del coloured, ma il rendimento aumenta nel momento stesso in cui la pelle cambia di colore.
"È uno scandalo", guaisce Samaranch. "Gli atleti sospetti conseguono record contro natura e gli atleti neri no". C'è quanto basta perché le cellule grigie e quelle culinarie di Pepe Carvalho si mettano in moto.
    E l'indagine inizia da questo punto. Di più è impossibile dire. Tranne che, per 15 puntate, i colpi di scena, le trappole e gli inganni si susseguiranno con ritmi gialli perennemente venati di un'ironia torbida, contagiosa, incapace di accettare la serietà glaciale che imbalsama gli architetti ufficiali del Cio in tanti personaggi da operetta, capaci solo di "palabra y no de sport". Un esempio per tutti: Samaranch, il despota olimpico che, a un Pepe sogghignante e poco disposto ad innalzarlo ancora di più sul piedistallo del marmo parlato, esclama inviperito: "Lo temevo. Un tipico atto di disprezzo carvalhiano, la prova dell'infinita superbia di quegli intellettuali a cui sempre si riferiva l'Eccellentissimo Generalissimo Franco". Appuntamento a domani, tenendo presente che La Stampa si è garantita in esclusiva per l'Italia questa storia che, contemporaneamente, verrà pubblicata dai più importanti quotidiani europei.