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Cari amici e lettori italiani,
già dall'inizio non si era presentato molto bene, questo 15 luglio. Il doppio occhio di bue che stavo tentando di preparare come si deve —il tuorlo ben separato dall'albume— si era ridotto a un puzzolente brandello marrone grazie alla telefonata intempestiva e preoccupata di Biscuter che farfugliava di un assegno andato in protesta. Il mio fegato agonizzante tirò un sospiro di sollievo alla vista di una bottiglia di latte che, insieme a un muesli misto all'alibi salutista di una cucchiaiata di crusca transgenica, mi avrebbe restituito le forze per andare incontro a un'altra delle mie giornate sempre più uguali e meste.
Nella mia mente annebbiata come il cielo soffocante e lattiginoso che saliva dal mare verso la collina di Vallvidrera si delineavano minacciosi i frammenti delle ultime ventiquattro ore come i detriti galleggianti di un naufragio. Ordinaria amministrazione, qualche telefonata orgogliosa di mariti svogliati di mogli annoiate, il direttore amministrativo di una ditta insaccatrice di maiali allevati con ormoni e pesticidi, il rappresentante della mia pensione integrativa che reclamava il pagamento del premio di marzo.
All'ora di pranzo Biscuter aveva dato il suo meglio con un morbido sfornato di nasello e cozze di scoglio, preceduto da un soffice riso con carciofi surgelati e accompagnato da qualche bicchiere di Viña Esmeralda, uno dei pochi bianchi a buon mercato in grado di reggere bene all'aggressione ferrosa dei carciofi ai danni di un palato comunque abituato a tutto. Speravo che un sonnellino rassegnato, una passeggiata lungo le Ramblas spazzate dal caldo giù verso il porto postolimpico deserto e una doccia afosa mi mettessero nella condizione mentale necessaria per affrontare la serata che avrebbe dato una svolta determinante al resto della mia vita. Ma solo due Martini asciutti come l'Estremadura e la confortante promessa di Enric Fuster di assistere alla cena calmarono mente e membra tremolanti.
A Casa Leopoldo nel Barrio Chino avevo fatto preparare un tavolo per dodici, così —con il mio commercialista— il gruppetto avrebbe raggiunto il nefasto numero di tredici. Oltre a Biscuter, Enric e me, i miei editori in Spagna, Italia e Germania, il redattore, il mio alter ego alla casa editrice, i fidati e fedelissimi traduttori in italiano e tedesco, due redattori del Manifesto e della Tageszeitung di Berlino, e infine —misteri del mercato televisivo europeo— il non proprio eccelso interprete del sottoscritto (oltrettutto dalla fisionomia completamente diversa dalla mia), e l'attricetta che nel recente serial ha prestato per così dire il volto bambolesco a Charo.
Va da sé che quest'ultima, a suo dire per mantenere il figurino giunonico, ha scelto un melone con tre fettine trasparenti di prosciutto, un'insalatina verde condita solo con limone e, per mandare giù tutto questo bendidio, mezza minerale non gassata. Tutto ciò al posto di una minestra di ostriche e aragoste alla Thermidor esaltata dall'acidità di un Pouilly Fumé '94. Seguivano —innaffiati, è proprio il caso di dirlo, da sei bottiglie di Baron de Chirel Reserva 1988 della cantina Herederos del Marqués de Riscal— involtini di testina e zampetti di vitello con tartufo nero e gamberetti. Un Camembert impanato con marmellata di pomodori verdi e un paio di bottiglie di Picolit avrebbero fatto da contorno al mio grande annuncio che voi, i miei affezionati lettori italiani, state per ricevere sulla pagina ufficiosa di Manuel Vázquez Montalbán, sul "suo" sito Internet.
Mi ero preparato un discorso degno di un eminente esponente del partito attualmente all'opposizione nella Generalitat de Catalunya seduto al tavolo accanto, ma l'emozione —insieme alla prospettiva di una serena vecchiaia— mi presero la mano: "Amici, colleghi, compagni di ventura, vi ho riuniti questa sera per annunciarvi —con dolore ma anche con sollievo— la scomparsa di Manolo, di Manuel Vázquez Montalbán."
I commensali stupiti fissarono il mio editor, rubicondo, un sorriso malizioso sotto i baffi, la "fronte alta" lucida, più vivo che mai e che, a sua volta, prese la parola. "Dovete sapere che Montalbán non è mai esistito, è uno pseudonimo, un nome d'arte. E' stato lo stesso Pepe, José Carvalho Turòn, a deliziarci per trent'anni prima di tutto con la sua compagnia e poi con il suo personaggio e la sua tribù. E' lui, Pepe, mio compagno di banco alla scuola di beneficenza finanziata dalla Cassa di Risparmio, avido divoratore di Chandler, Wolfe ma soprattutto Quéneau, comunista incallito da sempre, redattore dell'ufficio propagandistico dell'allora PCE —tra parentesi, non ha mai lavorato per la CIA, l'idea ci era venuta una notte dopo una Caldereida, un guazzetto di pesce come solo lui sapeva preparare— e oggi attento ma triste e scettico osservatore del tramonto di un'idea piegata dalla realpolitik liberista più pragmatica, bieca e marketing oriented, prima ancora di essere l'autore della serie che porta il suo stesso nome. Le apparizioni in pubblico, le foto sui risvolti dei libri e nelle recensioni? Sono io, come vedete, non quel gran bel ragazzo di sessanta e rotti anni che avete qui di fron..." Fu interrotto dallo squittìo del mio odiatissimo telefono portatile che avevo dimenticato di disattivare. Erano appena passate le dieci:
«...Ciao Pepinho, sono Charo... ho parlato oggi pomeriggio con Biscuter... sono arrivata adesso da Puigcerdà alla stazione di Sants...»
...vissero felici e contenti.
Nei prossimi giorni questa notizia apparirà con grande risalto sulle pagine culturali della stampa. E' per questo motivo che ho voluto informarvi in anteprima, in tempo reale.
Un saluto cordialissimo dal vostro
Pepe Carvalho
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