M.V.M.

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10/2/98.


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LE SCIOCCHEZZE DI WAYNE

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

El País e la Repubblica, 24 / 1 / 1998.


L'AVANA - quando mi vede entrare e uscire dai ministeri e da altri territori del potere, la gente del posto mi dice: "Così lei non riuscirà mai a conoscere la verità". A Cuba la verità talvolta la si vede e talaltra la si ascolta, ma il forestiero con qualche conoscenza delle due finalità fondamentali che insieme si battono e si complementano nell'isola, sopravvivenza e rivoluzione, deve lasciarsi andare alla ricchezza di tanti stimoli contraddittori. Il Papa è stato circondato tutto il tempo da folle che credono fervidamente soltanto alla sicurezza minima procurata dalla tessera annonaria, e prima di partire sia lui che Castro cercheranno di chiarire le proprie strategie: il Papa è venuto a fare un investimento nel futuro missionario e Castro sta riuscendo a dimostrare che gli Stati Uniti sono rimasti intrappolati nella loro stessa volontà di embargo.
Uno dei residenti a Miami, Max Lesnik, in altri tempi dirigente rivoluzionario socialdemocratico insieme a Gutiérrez Menoyo e in seguito direttore della rivista Replica, ripetutamente bombardata dall' anticastrismo ultra della Florida, mi offre una spiegazione alla durezza adoperata da Castro contro i conquistatori spagnoli nel suo discorso: "Era un discorso di benvenuto, necessariamente morbido nei confronti di Giovanni Paolo II. Doveva pur mostrarsi duro con qualcun altro". Ed è sereno l'addetto commerciale spagnolo Sandomingo, il quale appartiene a quella razza di diplomatici che non si serve delle ovvietà della diplomazia per mascherare la propria ovvietà circostanziale e quasi tre ore di dialogo con lui ti collocano pienamente in una Cuba che conosce le verità del balsero e quelle del potere.
Il mio pomeriggio finisce in compagnia di Wayne Smith, una persona che gode di tanti consensi nell' isola quanti monsignor Céspedes. Colui che era stato ambasciatore di Carter e uno degli orditori della grande opportunità di avvicinamento tra Castro e gli Stati Uniti, frustrata da Reagan, ha sulla scrivania la dichiarazione degli Americans for Humanitarian Trade with Cuba, lobby in favore dell'immediata rottura dell'embargo nei confronti dei prodotti assistenziali, in cui figurano nomi come Rockefeller e Servant Shriver. Se Rockefeller, dopo aver condannato il regime di Castro, chiede la revoca dell'embargo, Elizardo Sanchez, il dissidente cubano che vive all'Avana, avendo salutato il successo del castrismo alle ultime elezioni, chiede che tale forza elettorale diventi energia di trasformazione. Wayne Smith ha passato molti anni a gridare nel deserto a favore del ruolo trasformatore della revoca dell'embargo, in quanto militante di quella cultura dell'americano liberale che in 25 anni di carriera diplomatica ha visto entrare Castro all'Avana e ha presenziato dalla platea dell'ambasciata degli Stati Uniti al golpe dei militari in Argentina. Ha un senso dell'umorismo tanto esteso quanto la propria esperienza di americano esteso: "Siamo tutti felici. Mia figlia e io perché viviamo questi fatti, e anche mia moglie si è trasferita a Miami per essere felice". Sua moglie è felice perché la storia sta dando ragione al tenace Wayne Smith? "No, no. Mia moglie è felice perché a Miami si prende cura in esclusiva del nostro nipotino e perché pensa che mia figlia mi tenga d'occhio all'Avana. Delle mie posizioni politiche se la ride parecchio. Le chiama le sciocchezze di Wayne".

(Traduzione di Hado Lyria)

(Copyright El País / la Repubblica)


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