M.V.M.

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21/1/98.


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IL PAPA

MANUEL VÁZQUEZ MONTALBÁN

El País, 19 / 1 / 1998, inedito in Italia.


Siamo di fronte ad uno dei viaggi piú redditizi del Papa di Roma. Gli anticastristi sperano che, come è successo nei paesi del cosiddetto socialismo reale, la visita del Papa significhi la prima picconata al muro dei Caraibi. I castristi considerano che il Vaticano ha beffato l'embargo politico-culturale degli Stati Uniti, e Giovanni Paolo II, anche se non darà la benedizione alla Rivoluzione cubana, gli presterà delle ore di immaginario in molti schermi televisivi.
Sono a L'Avana alla ricerca di un libro futuro sul castrismo ed il postcastrismo, contemplato da ogni sorta di cubani interessati ad una soluzione all'embargo e da quei soggetti storici dell'America Latina che cercano di trovare una politica trasformatrice dopo tutte le dure lezioni che la sinistra ha imparato nel XX secolo a spese del proprio sangue e di quello altrui. La pachanga attribuita ai cubani non è soltanto un senso ritmico della vita basato sulla segreta melodia dell'indolenza. C'è un'immensa saggezza nell'attitudine di un popolo che è passato dal vanguardismo della Conferenza Tricontinentale ad essere l'ultimo baluardo del socialismo reale sulla Terra e immagino anche nel cielo.
L'arrivo di Giovanni Paolo II sarà per tanti un autodafé; per altri, un atto di attiva e passiva riaffermazione patriottico-castrista e per quasi tutti uno spettacolo tropicale al ritmo di Nicolás Guilén e fra Betto, raccontato da un bolero di Milanés, saggio in boleros autoctoni capaci di raccontare vita e storia dalla pazienza, quell'energia storica popolare che è stata la causa delle peggiori sconfitte e delle migliori vittorie dei popoli. Installati i cubani nel pleonasmo di isolani isolati, dopo la partenza del Papa, Cuba rimarrà di nuovo piú vicina agli Stati Uniti che a Dio?


(Traduzione di Carlo Andreoli)

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