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«Carvalho, Montale e Montalbano sono dei serial-killer»Mario BaudinoLa Stampa, 25 / 6 / 1999.
—Beh, non penso che potrei. È vero che il mio commissario Montalbano è un esplicito omaggio a Manuel Vázquez Montalbán, e al suo detective privato; è vero che entrambi i personaggi in qualche modo ci perseguitano; è vero tutto, ma l'affetto, quello mi frega. L'affetto di sempre. —Fra gli autori o fra i personaggi? —Fra gli autori. Siamo stati insieme nella sua Barcellona, due mesi fa, e Manuel è stato un anfitrione commovente, benché fosse stanchissimo. Era appena tornato dal Messico dove aveva intervistato quel subcomandante, come si chiama... —Marcos. —Sì, proprio lui. Siamo andati avanti e indietro per il Barrio Chino, che è rimasto nostante tutti i cambiamento di Barcellona, proprio come nei suoi racconti, la culla di Carvalho. —Il vecchio quartiere popolare dove il detective ha mosso i primi passi, e conserva l'ufficio. Quello a cui dedica alcune pagine anche in questo libro, pieno di nostalgia. Le è piaciuto? —È un posto cordiale e popolare, dove la gente si affaccia alla finestra per salutare Manuel, e i passanti lo fermano, lo baciano. Ho provato un pizzico d'invidia siciliana. —Via, a lei non capita? —Meno, decisamente meno. Poi mi ha portato in un ristorante cinese, pieno di fotografie con dedica di autori come Pieyre de Mandiargues. Sa, quel mondo sospeso fra vizio e virtù. —Che non è poi tanto diverso da Porto Empedocle, la Vigata dei suoi libri. —No, sono posti con le stesse caratteristiche, con gli stessi racconti. A Barcellona con Manuel mi sento come a casa. —Mentre il suo commissario Montalbano la penserebbe diversamente... —È noto che lui non ama viaggiare. Qualche visita a Roma per motivi burocratici, una puntata a Trieste o di recente a Genova. —Dov'è andato per «La mossa del cavallo», l'ultima avventura appena edita da Rizzoli. Carvalho, invece, lui sì che viaggia. —È stato in Cina, in America, a Bangkok. Ora a Buenos Aires. Secondo me sono tentativi di allontare il personaggio. —Ha un sospetto? Si spieghi meglio. —Forse Manuel sta tentando di farlo scomparire in un orizzonte lontano. Jean Claude Izzo ha osato anche di più: ha fatto sparire il suo commissario Fabio Montale in mare. Una soluzione che gli invidio... perché ora non si sa dove sia, se tornerà, se non tornerà. —Suona come una minaccia per il suo Montalbano. —Diciamo la verità: Carvalho, Montale —non il poeta, il commissario— Montalbano sono dei serial-killer, nei confronti degli altri personaggi. Li uccidono senza pietà, a volte ne impediscono la nascita. Io sono convinto che Carvalho stia lì, di fronte a Manuel, quasi a impedirgli di scrivere altre cose. —E l'autore si difende mandandolo in missione oltre Oceano. Lei invece come fa, visto che Montalbano odia l'aereo proprio come il suo autore, e non vuole sapere di queste trasvolate atlantiche? —Gli getto delle polpettine che lo tengano a distanza. Come se fossi su una slitta inseguita dai lupi. E non è detto che una volta o l'altra una polpetta non possa essere avvelenata. —Che cosa sta tramando? —Ma no, niente di così definitivo. Sto però pensando che potrei dimissionarlo, visto che è impossibile trasferirlo. Mandarlo in pensione, senza impedirgli di condurre qualche indagine, beninteso. —Come Manfredi nel suo serial televisivo? Il brigadiere in pensione, paterno e rompiscatole, che la sa sempre più lunga di tutti? Un po' melanconico. —No, no. Non così. Io e Montalbano detestiamo il patetico. —Ci sarebbe un'altra soluzione: farli incontrare, lui e Carvalho. Diverrebbero amici come i loro autori? —Questa è un'idea che viene spesso in mente a noi, e sempre ai nostri intervistatori. Però non funziona. Sappiamo benissimo, io e Manuel, che litigherebbero subito, in cucina. E a un livello tale da depistare le indagini. |